Quando si sale per un sentiero montuoso, seguendo una traccia lasciata in quella neve che attutisce ogni suono, la frenesia confusa dell’attività umana viene abbandonata, come non fosse importante; un elemento superfluo per la pienezza del nostro animo. Dove il rozzo baccano della macchina non giunge, impossibilitato dall’attenta sorveglianza delle vette, che, come primordiali sentinelle regnano sul proprio mondo, anche lo scorrere del tempo assume una portata differente. Esso viene distorto e sfigurato, ben oltre le proprie caratteristiche fisiche, assumendo un incedere blando, una manifestazione dilatata nella percezione umana, per la quale giunge addirittura ad arrestarsi.
In questo limbo eterotopico Ermanno Olmi ambienta il proprio esordio alla regia di un lungometraggio di finzione. Nato come l’ennesimo documentario commissionatogli dalla Edisonvolta, di cui Olmi era dipendente, Il Tempo si è fermato si mostrò un progetto in grado di crescere e dilatarsi tra le mani del proprio forgiatore, mantenendo ed amplificando le caratteristiche che ne avevano segnato la produzione negli stadi precedenti della sua carriera. Proseguendo nella rappresentazione di contesti lavorativi in cui l’attività umana si innesta in quella della natura più estrema e possente, Olmi mette in scena l’incontro tra due personaggi agli antipodi, incarnazione di due mondi distanti che trovano in questo luogo sospeso e atemporale un territorio fertile per il germogliare di un sentimento empatico e di reciproco affetto. Un contesto di rara meraviglia, costituito dalla conca maestosa che ospita il lago del Venerocolo, alle pendici della colossale parete nord del monte Adamello, si palesa come l’ambiente ideale per la rappresentazione di questo incontro tra realtà differenti.
Il giovane Roberto, assunto come guardiano della diga per la stagione invernale, abbandona la comodità e le agiatezze della vita urbana, per recarsi ad oltre 2.500 metri d’altitudine, dove il fascino della natura è paragonabile solamente alla sua potenza. Qui entra in contatto con Natale, uomo semplice e ligio al proprio dovere, che si prepara a passare il periodo delle festività di fine anno lontano dalla famiglia, sempre evocata con affetto tramite le sue parole.
Il giovane è il volto di una modernità ancora un po’ acerba, ancora instabile e goffa se confrontata con il rigore e il fascino della montagna. È la visione romantica del regista, uomo dalle origini contadine, che si sviluppa e prende vita. L’idea che il perfetto equilibrio tra uomo e ambiente sia stato raggiunto in un’epoca ormai superata, ma che ancora si mostra come il più limpido esempio di società umana.
Una riflessione che si dipana su un sentiero pericolante, in bilico sul baratro della retorica spicciola contro la società industriale, ma che Olmi, scaltro conoscitore delle insidie celate dal terreno su cui si muove, evita grazie all’infinita delicatezza che pervade il suo tocco registico.
L’inadeguatezza del giovane Roberto ed il suo goffo approccio ad uno stile di vita che lo sovrasta, non viene rappresentato con il tono arrogante di una paternalistica accusa, ma esposto attraverso un’ironia densa di sensibilità ed affetto. Sentimenti che si manifestano attraverso la figura dell’anziano Natale, freddo ed introverso nel non sapere trovare punti di contatto con una personalità all’apparenza distante ed incomprensibile. Contatto che si rinviene attraverso un processo di aiuto, di umile insegnamento e quindi di conoscenza reciproca. Un percorso di ammissione delle proprie vulnerabilità, di acquisizione della consapevolezza di sé stessi in relazione all’altro e allo spazio nel quale ci si muove. Il tempo si è fermato è un film emblematico della carica fiabesca che Olmi riesce ad iniettare nel proprio realismo. Un susseguirsi di gesti essenziali, di azioni minime ed esatte, di scala infinitesimale se confrontate alla magnificenza del mondo (ne è un esempio calzante la scena in cui i due cercano di liberare manualmente un locale allagato, usando dei semplici secchi), ma pesantemente impregnate di una purezza ed un candore che paiono poter trovare il proprio posto solamente fuori dal mondo che conosciamo.
Film che segnò, nel 1959, il lancio definitivo di Olmi nell’industria cinematografica italiana, venne presto adombrato dal successo delle opere successive (su tutti Il Posto, da alcuni considerato il suo vero esordio), Il tempo si è fermato resta un’opera fondamentale della filmografia di questo straordinario cineasta, un chiaro manifesto della propria poetica, sintesi di quei valori di rispetto e condivisione degli affetti, che, coperti da un dolce velo nostalgico, costituiranno il fulcro del suo intero operato.
Andrea Pedrazzi