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Tra tutte le eccellenze che il cinema italiano è riuscito a produrre, il giallo all’italiana è sicuramente uno dei generi che possiede più “cadaveri eccellenti” al suo interno, e infatti Una lucertola con la pelle di donna del 1971 di Lucio Fulci è davvero una perla nascosta.

Se dare i meriti per la formazione dei canoni del genere a Sei donne per l’assassino del 1964 di Mario Bava è doveroso, lo è altrettanto farlo con il ben più noto L’uccello dalle piume di cristallo del 1970, primo film di Dario Argento, la cui fortuna fu la causa principale del gran proliferare delle pellicole successive; d’altra parte i titoli sono inequivocabili. Il successo del filone “degli animali” (che vede altri due lungometraggi nel 1971 dello stesso Argento con Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio) fu un richiamo incontrastabile per i produttori cinematografici.

Soggetto ad una rivalutazione negli anni 2000, soprattutto ad opera di autori come Quentin Tarantino e Sam Raimi, Lucio Fulci è maggiormente conosciuto per Non si sevizia un paperino del 1972, Sette note in nero del 1977 e per la sua “trilogia della morte” girata tra il 1980 e il 1981. Proprio nell’ottica dei due gialli precedentemente citati e nella contrapposizione con l’esordio argentiano, Una lucertola con la pelle di donna si presenta sia come elemento anticipatore delle opere più mature del regista, che come punto d’innovazione all’interno dello sviluppo del genere.

La somiglianza nominale dei due film risulta infatti ingannevole al termine delle visioni. Se il rinnovamento di Argento è basato principalmente sul piano visivo, con l’utilizzo della soggettiva e la rappresentazione dell’assassino, quello di Fulci è caratterizzato dall’incursione nell’onirico. Emblematica è la sequenza di apertura del film: Florinda Bolkan attraversa un asfissiante corridoio di un treno occupato da passeggeri che improvvisamente diventano corpi nudi, per terminare poi nel limbo di una camera da letto circondata dall’oscurità. Successivamente, la particolarità del montaggio viene completata da un fantastico utilizzo del piano d’ascolto misto ad un inaspettato split-screen. La distinzione tra sogno e realtà continua ad essere labile per tutto il film, rendendo al meglio l’aspetto confusionario degli eventi e dei sospetti e minando le certezze visive dello spettatore. Deviando l’attenzione dalla violenza alla psicologia, Fulci nasconde il dissesto di una famiglia borghese scatenato dalla repressione dei propri fantasmi.

In concomitanza con lo spirito sperimentale del film, non è casuale una delle colonne sonore più originali composte da Ennio Morricone (autore anche di quella per L’uccello dalle piume di cristallo), in particolare per la canzone d’apertura “la lucertola”.

Roberto di Matteo

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