Scuola di Atene (copertina)

Tra i più celebri e famosi lavori di Raffaello, la Scuola di Atene è forse uno dei più complicati e affollati che l’artista realizzò. L’opera è un affresco la cui base misura circa 770 cm, fu realizzata nel 1510 e trova dimora nella “Stanza della Segnatura” all’interno dei Musei Vaticani.  L’ambiente prende il nome dal più alto tribunale della Santa Sede, la “Segnatura Gratiae et Iustitiae“, presieduto dal pontefice. In base ai temi trattati dagli affreschi è plausibile che la stanza dovesse essere destinata a servire da studio e biblioteca di Giulio II. Il papa decise di trasferirsi in questi ambienti in quanto si rifiutò di utilizzare gli spazi dell’Appartamento Borgia decorati da Pinturicchio, poiché non voleva essere circondato dalle memorie del suo odiato predecessore, Alessandro VI.

Inizialmente, Giulio II affidò la decorazione dei nuovi ambienti ad un gruppo scelto di artisti: Luca Signorelli, il Perugino, il Bramantino, Cesare da Sesto, il Sodoma, Lorenzo Lotto e Baldassarre Peruzzi. Raffaello, chiamato probabilmente dal Bramante, arrivò a Roma nell’estate 1508 e si unì al gruppo. Forse su consiglio dello stesso Bramante e del Pinturicchio, nel 1509 Giulio II decise di affidare l’intero progetto decorativo al giovane artista, non esitando a distruggere tutte le decorazioni precedenti, tra cui figuravano affreschi di Piero della FrancescaAll’interno della sala trovano spazio, accanto alla Scuola di Atene (filosofia), anche altri tre affreschi: la Disputa del Sacramento (Teologia), il Parnaso (Poesia) e Virtù e la Legge, che ritrae Gregorio IX che approva le Decretali (legge canonica) e Triboniano che consegna le Pandette a Giustiniano (legge civile).

Tornando all’affresco filosofico, in esso ci si trova immersi in un ambiente monumentale, dominato dall’imponente arcata semicircolare (che si riteneva erroneamente fosse un’ideazione del Bramante), in cui la scena riproduce, tra complessi significati allegorici, la storia del pensiero antico, dal VI secolo a.C. ai primi secoli dell’età imperiale. Isolati, al di sopra di una breve scalinata, Platone e Aristotele, il primo con in mano il Timeo, il secondo con l’Etica, e ai loro lati i propri discepoli, tra filosofi, matematici e scienziati. Si distinguono nei pressi del piedistallo in basso a sinistra i seguaci dell’Orfismo, fondamento del pensiero greco, subito a lato Pitagora e i suoi discepoli, Empedocle ed Eraclito di Efeso seduto intento a scrivere; sempre a sinistra, sopra il gruppo orfico, si trova il gruppo dei sofisti, Socrate e i socratici; al centro, sdraiato sulla scalinata, compare la personalità emblematica di Diogene il cinico, che riassume sinteticamente stoici ed epicurei; dall’altro lato, in basso a destra, è rappresentato il gruppo dei geometri, tra i quali è possibile riconoscere Zoroastro, Tolomeo e lo stesso Raffaello, poiché nel Rinascimento l’arte era intesa come veicolo della Bellezza e quindi del Bene e del Vero di cui essa è manifestazione.

E proprio l’arte di Raffaello è un attenuarsi di quella metafisica “giusta misura”, che per Platone coincide con il Bene e con il Vero, mediante quel dispiegarsi dell’uno-nei-molti a vari livelli, come suprema manifestazione di ordine e armonia. E di certo, raffigurandosi come piccolo tra i grandi, Raffaello intese presentarsi come filosofo di questa dimensione: l’arte è alta filosofia, come rappresentazione delle armonie numeriche del bello visibile, armonie che costituiscono la struttura dell’essere.

Una particolarità è che secondo alcune teorie molti dei personaggi raffigurati sarebbero ritratti di artisti contemporanei al pittore: Perugino (Protogene), Sodoma (Ipazia), Bramante (Archimede), Leonardo da Vinci (Platone) e Michelangelo (Eraclito).
Raffaello è tra i più celebri pittori del Rinascimento, e la sua opera segnò una tappa fondamentale per tutti i pittori successivi e fu di vitale importanza per lo sviluppo del linguaggio artistico dei secoli a venire, dando vita ad una scuola che fece arte “alla maniera” sua: il cosiddetto manierismo.

Tommaso Amato

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