de chirico mystere.jpeg

“Quando giungi in una città, ha scritto qualcuno, ciascuna strada, ciascuna casa, ciascuna stanza racchiude il suo segreto, e c’è in tutto ciò un senso di vacuo spavento”, parla così Alessandro Castellari, insegnante di italiano e storia alle superiori e collaboratore assiduo con l’Università di Bologna, all’interno del suo libro “In ascolto di voci mute”, una raccolta di racconti d’arte pubblicata nel 2019, riferendosi al “Mystère et mélancolie d’une rue” di Giorgio de Chirico.
L’opera, un gioco di luci e ombre olio su tela tipico della pittura metafisica, è stata composta nel 1914 ed è caratterizzata da una geometria modificata, spesso presente nei lavori di de Chirico, oltre che da quell’alone di mistero che avvolge costantemente le sue opere, che sembrano nascondere segreti inconfessabili, dietro le arcate raffigurate sapientemente, ed enigmi che arrivano a rivestire di una patina ugualmente misteriosa i personaggi presenti sulla scena, come se fossero intrappolati in luoghi a cui è impossibile accedere.

Significativo è proprio il fatto che luci e ombre si contrappongano costantemente, bilanciandosi alla perfezione e rappresentando il fulcro dell’opera. Esse si proiettano sui due edifici, posti rispettivamente a sinistra e a destra all’interno del dipinto, che risultano appunto uno in luce e l’altro immerso nell’ombra: essi si estendono a perdita d’occhio, ma sembrano inseguirsi all’orizzonte, paiono volersi incontrare alla fine del quadro. Contrapposte allo stesso modo sono la figura della bambina, che sembra stia correndo e facendo girare un cerchio davanti a sé, e quella dell’ombra che fa capolino dal palazzo di destra, forse si tratta di una statua.
Proprio sull’identità di questi ultimi due personaggi la critica ha tentato di pronunciare
supposizioni che ne rivelassero la vera natura: pare che de Chirico, nella raffigurazione della ragazzina con il cerchio, sia stato in parte influenzato da Seurat e dal suo dipinto “Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte”, datata 1883-1885; per quanto riguarda l’ombra presente nella parte destra dell’opera, invece, i critici sostengono che si tratti di una statua e non di una figura umana, in riferimento ad analogie con altre opere dello stesso periodo.

Giorgio de Chirico (Volo, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978), noto pittore e scrittore italiano, fu tra i massimi esponenti della pittura metafisica. A colpirne significativamente la sensibilità artistica fu in primis la città di Ferrara, in cui l’artista rimase per circa tre anni e mezzo, dopo che vi fu mandato con il fratello. Partecipò, poi, alla Biennale di Venezia (1924 e 1932) e nel 1935 alla Quadriennale di Roma, dove trascorse gran parte della sua vita. Seppe raffigurare in modo sapiente scene così particolari da avviluppare l’osservatore in un mistero senza fine.
Osservando attentamente l’opera in questione, infatti, sembrerà di essere lì, sospesi tra luce e ombra, accanto alla bambina, a spingere il cerchio sulla strada assolata e solitaria, o nei panni dell’ombra, che si tratti della statua di un guerriero armato di lancia, o forse di un uomo che sta aspettando la ragazzina tenendo una lunga asta in mano. Tutto è avvolto dal mistero, è un enigma che de Chirico sembra impedirci di risolvere, preferendo di gran lungo tenerci in sospeso, a fare supposizioni, a porre quesiti, a chiedere perché, in una serie di domande che sembrano non trovare risposta, in un tempo fermo, immobile avvolto dal silenzio e dalla solitudine.

Chiara Pirani

Pubblicità