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L’uscita nelle sale del nuovo film di Marco Bellocchio, Il traditore, prevista per il 23 Maggio, è l’occasione perfetta per rispolverare la filmografia di uno dei pochi grandi maestri del cinema italiano rimasti in attività; spesso oscurato dal magnifico esordio del regista, è necessario ridare voce al discorso sul suo secondo lungometraggio, La Cina è vicina del 1967.

Pur essendo inevitabile il confronto con due film in parte anticipatori della contestazione del ’68, I pugni in tasca del 1965 e Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci del 1964, esso rischia di sminuire il valore di un’opera che a un anno dai tumulti, con uno sguardo inusuale, mette in evidenza la deformazione della realtà politica del tempo.

Certamente le fondamenta dell’intreccio non cambiano: così come nei film precedentemente citati, l’analisi poggia le sue basi sulle contraddizioni di una famiglia borghese, ma ad essere in evidenza questa volta è il fenomeno del trasformismo, politico e sociale, proprio di una sinistra incapace e disinteressata a formare un’opposizione reale. La Cina è vicina era un’espressione usata da alcuni gruppi maoisti, considerata dal regista, fin dall’inizio, adatta a rappresentare satiricamente il nocciolo del film; essa diventa unicamente una scritta vuota sul muro di un paesino, i cui protagonisti politici non potrebbero essere più lontani dall’estremo oriente. La loro adesione al Partito Socialista Unificato è solo simbolica: il vero ideale che li accomuna è quello della scalata sociale. Vittorio guarda utilitaristicamente al suo futuro da assessore, e l’unico intento di Carlo è quello di utilizzare i rapporti interpersonali a suo favore. A questo proposito, non è un caso che la contrapposizione avvenga fra un ragazzo e una ragazza d’estrazione proletaria e due ricchi borghesi: l’omologazione politica viene ridotta ad un allineamento dei primi alle abitudini dei secondi, in una visione la cui lungimiranza oggi appare indubbia. Il giovane Camillo è invece il rappresentante di un’alternativa troppo debole, la cui caratteristica emergente è l’ingenuità: la grottesca rappresentazione del tentativo di attentato che lo vede protagonista ne è emblematica; così come lo è la rappresentazione del mondo cattolico nel quale è immerso, la cui descrizione risente probabilmente dell’esperienza giovanile nell’azione cattolica dell’autore.  

La cina è vicina

In un momento storico in cui sarebbe stato facile descrivere le crescenti esperienze socialiste con un approccio idealistico, Bellocchio sceglie di metterne a nudo le contraddizioni e l’impreparazione, aggiungendo ulteriori elementi di riflessione dopo I pugni in tasca; non è un caso che i due film siano entrambi inseriti nella lista dei 100 film italiani da salvare.

Roberto di Matteo

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