Non ancora archiviato il successo straripante del bizzarro viaggio medievale inscenato ne L’armata Brancaleone (1966), Mario Monicelli riporta il proprio cinema all’interno della rotta canonica della Commedia all’italiana, tornando ad immergere il suo tragicomico sguardo nei drammi e le contraddizioni del paese reale. Intercettando il flusso tematico che nei primi anni Sessanta caratterizzò con esiti prodigiosi il cinema di Pietro Germi, Monicelli elabora la sua riflessione sulla perdita dell’onore, portando sullo schermo il personaggio di Assunta Patan (Monica Vitti), donna “sedotta e abbandonata” che si lancia alla disperata ricerca dell’affascinante e vile Vincenzo Macaluso (Carlo Giuffrè), reo di averla posseduta, quindi disonorata e di essersi poi sottratto all’ufficio del matrimonio riparatore. Ripudiata non solamente dall’amato, ma anche dalla sua stessa famiglia, Assunta è profondamente persuasa a riconquistare la dignità perduta agli occhi della comunità e, animata da una fervida intraprendenza, decide così di recarsi in Inghilterra all’inseguimento del fuggiasco Vincenzo.

Monicelli sovverte i rapporti di forza che nei film di Germi incastonavano i personaggi mettendone a nudo i deplorevoli caratteri. Disegna un personaggio femminile dalle tinte forti e contraddistinto da una risolutezza tale da renderla padrona della propria sorte ed autrice del proprio futuro. Impugnata l’arma, Assunta abbandona ogni stabilità, ormai compromessa, per inseguire un desiderio di restaurazione secondo le consuetudini che regolano i rapporti nella società da cui proviene. Un indottrinamento che viene mostrato in tutta la sua connotazione retrograda una volta costretto a scontrarsi con gli usi della società anglosassone, i cui esponenti, comprimari che costellano il viaggio della protagonista, non arrivano ma a concepire la logica che muove i suoi gesti e che regge la sua volontà. Trapiantata in una terra lontana dalla propria ed immersa in una marea di pensiero deviante rispetto alla realtà conosciuta, la donna condivide ed assimila dei punti di vista relativi alla propria condizione sconosciuti in precedenza, i quali la portano a sviluppare una nuova forma di coscienza e di auto-percezione. Acquisendo questa condizione di indipendenza, Assunta trova il coraggio di recidere ogni legame con il proprio passato, senza privarsi però della possibilità di ripagare il responsabile delle proprie disgrazie con la sua stessa moneta.

In questo modo Monicelli traccia una parabola sull’emancipazione della donna, pochi anni prima dell’esplosione delle rivendicazioni femministe degli anni Settanta. Con il suo tocco leggero ma comunque pungente, e ad onor del vero talvolta claudicante in questa occasione, l’autore romano plasma la sua garbata riflessione su una questione spinosa che viene rappresentata con estrema lucidità. Un’ulteriore e pertinente esempio della natura tragica che anima le migliori commedie, genere che deve ad autori come Mario Monicelli la diffusione del proprio linguaggio stratificato, in grado di restituire la complessità attraverso racconti di ineccepibile limpidezza.

Andrea Pedrazzi

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