Qual è il fine principale di un dipinto? All’interno delle opere di Magritte, la risposta a questo dilemma sembrerebbe essere paradossalmente chiara: insinuare il dubbio. Si tratta, quindi, non di dare una soluzione, di fornire una risposta eloquente ed esaustiva, quanto piuttosto di invitare ad indagare la realtà celando il dubbio al suo interno, facendo in modo che la domanda stessa diventi il cuore pulsante del dipinto e che susciti nell’osservatore attento un moto di curiosità e una spinta alla riflessione intima e personale.

La realtà si presenta nelle opere di Magritte come plasmante e plasmata, allo stesso tempo: nel dipinto in questione, Il donatore felice, infatti, il paesaggio, quindi la realtà esterna, arriva a confondersi e a diventare parte della raffigurazione del soggetto e, in un certo senso, del suo stesso pensiero, della sua riflessione. È come se il paesaggio rappresentato da Magritte “internamente al soggetto” raffigurasse la sua stessa essenza, il suo calore, il suo particolare ed unico modo d’essere e di sentire, in contrasto con la freddezza dell’ambiente esterno, spoglio e crudo. Sembra quasi di percepirne la rigidità, resa visibile dall’uso di colori freddi e dalla raffigurazione di un muro di marmo, atto a decontestualizzare il soggetto rappresentato.

A colpire l’osservatore de Il donatore felice, un olio su tela composto nel 1966 e conservato al Museo d’Ixelles in Belgio, è sicuramente la forte componente emotiva che si cela solo parzialmente all’interno del dipinto. Guardando attentamente il quadro, infatti, si tenderà a riflettere sulla presenza dell’onirico e del surreale all’interno del paesaggio notturno campestre raffigurato nella silhouette dell’uomo con la bombetta: dunque, protagonista del quadro sembra essere proprio la componente emozionale, il fatto che la realtà che circonda ciascuno di noi contribuisca a creare noi stessi, a plasmarci. Non a caso, in base alle esperienze affrontate nel corso della vita, si tende a mutare pressoché continuamente, e la personalità di ognuno altro non è che la somma di scelte, eventi e conoscenze.

René Magritte (Lessines, 21 novembre 1898 – Bruxelles, 15 agosto 1967), noto pittore belga, fu tra i massimi esponenti del Surrealismo, corrente artistica d’avanguardia, nata in Francia dopo la Prima guerra mondiale. Il pittore, inizialmente influenzato da Cubismo e Futurismo, fece propria la tecnica basata sul trompe l’oeil, genere pittorico che invita l’occhio dell’osservatore a considerare tridimensionale e tangibile un’immagine che, in realtà, viene riportata su una superficie bidimensionale. L’artista fu definito saboteur tranquille per la sua straordinaria capacità di insinuare dubbi sul reale attraverso la rappresentazione del reale stesso, al fine di mostrarne il “mistero indefinibile”.

Un influsso non indifferente è dato, quindi, dal Surrealismo, l’arte dell’inconscio, dell’irrazionale e delle cose insensate, che parte dal concetto di casualità e non di causalità: l’opera in questione risulta paradossale e sembra fatta proprio ad hoc per insinuare il dubbio tanto caro a Magritte all’interno della mente e dell’emotività dell’osservatore, intento a farsi domande e a non trovare quasi mai risposte.

Chiara Pirani

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