Un omaggio “alla permanenza e alla memoria che si contrappongono ad elementi mutevoli quali il mare”: è proprio questo che sembra rappresentare l’olio su tela di Magritte dal titolo “Il castello dei Pirenei”, custodito all’Israel Museum di Gerusalemme e datato 1959. Secondo alcune testimonianze, l’opera si ispira all’isola volante di Laputa apparsa ne “I viaggi di Gulliver”, mentre i lettori più appassionati la ricorderanno sulla copertina de “Il castello” di Kafka. Il dipinto fu commissionato all’artista dall’amico Harry Torczyner, che scelse proprio il “castello sulla roccia” tra i diversi soggetti che Magritte stesso gli propose.
Ciò che colpisce di più l’attento osservatore, all’interno di quest’opera, è l’evidenza disarmante di uno dei tratti tipici del Surrealismo: il perfetto equilibrio, nonostante si abbia a che fare con una scena del tutto improbabile. Eppure, quel castello bloccato in cima alla roccia sembra essere esattamente nel posto giusto, nella posizione perfetta, in una precisione che rasenta l’assurdo, ma che risulta paradossalmente credibile. A fare da contorno ci sono, poi, il cielo e il mare, che trasportano il tutto in una dimensione ancora più eterea e impalpabile, a tratti quasi misteriosa.
Entrando nei dettagli che costituiscono l’opera stessa, secondo alcuni è possibile creare una sorta di parallelismo tra le componenti del dipinto e dei risvolti filosofici: in particolare, il castello sarebbe da assimilare al pensiero, che è fondato (elemento rappresentato dalla roccia, che denota sicurezza e stabilità) sull’infondatezza, data dal cielo. Tale pensiero sembra alludere a un senso dell’essere che risulta domanda aperta, portatrice di dubbi irrisolti e perenni, che non possono essere sciolti da alcuna risposta, e quest’ultimo aspetto è rappresentato dal mare, ciò che incontrollabile e inspiegabile.
René François Ghislain Magritte (Lessines, 21 novembre 1898 – Bruxelles, 15 agosto 1967), meglio noto semplicemente come René Magritte, fu tra i massimi esponenti della pittura surrealista in Belgio. Inizialmente seguace delle correnti del Cubismo e del Futurismo, cambiò rotta grazie al maestro de Chirico e, in particolare, al suo quadro Canto d’amore, in cui Magritte scoprì un nuovo modo di vedere, “che rappresentava un taglio netto con le abitudini mentali di artisti prigionieri del talento, dei virtuosi e di tutti i piccoli estetismi consolidati”, come affermò egli stesso.
Il suo segno distintivo, una volta scoperto l’amore per il Surrealismo, fu il “trompe l’oeil”, quell’illusione che colpisce chi è convinto di star ammirando figure e oggetti tridimensionali e tangibili, ma in realtà dipinti su una superficie bidimensionale, in modo tale da far quasi sparire quest’ultima, disorientando l’osservatore e generando in lui un misto di curiosità e stupore.
L’opera in questione è ispirata, secondo alcune testimonianze, a un racconto di Edgar Allan Poe e mette in scena appunto una “pietrificazione”, tematica particolarmente cara a Magritte, creando un eccezionale paradosso visivo che permette all’osservatore di restare sospeso tra realtà e finzione, in un groviglio di dubbi irrisolti, trovandosi di fronte a una scena perfettamente credibile, ma in effetti assolutamente surreale, seppur catturata con una precisione quasi fotografica.
Chiara Pirani