I meno giovani ricorderanno che le audiocassette hanno due lati da ascoltare. Il lato A di questa storia suona così: l’assassinio di Chuck Burhnam si consuma nella sua casa di Manlo Park la notte di Halloween del 1999. L’omicida, il vicino di casa sedicenne Warren Cave, viene condannato all’ergastolo. Le prove contro di lui sono schiaccianti e perfino il padre del ragazzo, capo della polizia, non interferisce con la carcerazione a vita dell’unico figlio. La stampa è soddisfatta, l’opinione pubblica anche. Il caso è chiuso. Fine del nastro.
O così sembra.
Vent’anni dopo, in un’aula di tribunale, Poppy Parnell (Octavia Spencer) guarda una registrazione inedita al pubblico che fa crollare le sue certezza sul caso: un’adolescente Josie Burhnam, una delle figlie della vittima, deposita la sua prima e fondamentale dichiarazione alla polizia. La ragazza afferma di aver visto Warren lasciare la casa dei Burhnam la notte dell’assassinio, ma le sue parole d’accusa sono incerte, lo sguardo sempre basso. Poppy non le crede. Di questa audiocassetta c’è anche il lato B, ma nessuno l’ha mai riavvolto. Ligia al dovere e divorata dal senso di colpa, decide di riesumare il caso, indagando personalmente sulla presunta innocenza di Cave e raccontando pubblicamente i progressi delle nuove indagini nella versione contemporanea della fu audiocassetta: un podcast.
Questa è la premessa su cui si apre Truth Be Told (Apple TV+). Certamente non è innovativa se avete ascoltato Serial di Sarah Koening (o il nostrano Veleno di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli), ma si prospetta intrigante, promettendo di stuzzicare “l’armchair detective” che si cela in ogni spettatore. Diversamente dalle inchieste appena citate, però, la miniserie Apple segue soltanto la scia del true-crime, essendo l’adattamento di un romanzo di fiction uscito nel 2017, Are You Sleeping. Tuttavia il modus operandi della serie trae chiaramente ispirazione dal podcast statunitense: dallo stile musicale, all’approccio investigativo di Poppy, fino ad alcune similitudini nei dettagli tra due casi; l’ispirazione koeninghiana (passi il neologismo) è inequivocabile.

Proprio come in Serial e in Veleno, infatti,la fine del primo episodio insinua nello spettatore il dubbio sulla veridicità del racconto finora mostrato. Il lato A della cassetta appare incompleto.
Parte così un’indagine al contrario che ha, come obiettivo finale, l’assoluzione del dichiarato colpevole (Aaron Paul), trasformato dal carcere in un nazifascista con il corpo marchiato e gli occhi arrabbiati. Ma Poppy non ne è intimorita e cerca nelle parole di Warren la verità che sa di aver taciuto in passato. Tuttavia, la storia procede ingarbugliata. Diversamente dalla narrazione accattivante di entrambi i podcast, i passi avanti compiuti dalla giornalista sono delle sequenze meccaniche. Gli indizi e i sospetti trovano sempre un collegamento immediato che quasi mai risulta soddisfacente; le vicende di Warren e Poppy sono a volte esageratamente intrecciate, con una conseguente perdita di credibilità.
L’interpretazione di Victoria Spencer non riesce a salvare una sceneggiatura che vorrebbe entrare in profondità, ma che a stento rimane a galla. Il triangolo amoroso che coinvolge il suo personaggio non solo non è adeguatamente esplorato, ma risulta poco funzionale all’avanzare della narrazione. Il dilemma che spinge la giornalista nella sua indagine è di tipo etico, non amoroso; quest’ultimo, quindi, è facilmente dimenticabile.
Aaron Paul, invece, continua a dimostrarsi bravissimo nel rappresentare i tormenti e le paure di ragazzi corrotti dall’animo buono. Quei ragazzi a cui proprio non si può non voler bene; quei ragazzi à la Jesse Pinkman, per citarne uno. Nonostante l’ottima interpretazione (in particolare nel sesto episodio) ,il suo Warren è a tratti indistinguibile dal ragazzo problematico e sensibile lasciato ad Albuquerque. Su di lui permangono dubbi e, soprattutto, questioni irrisolte e abbozzate, tra tutte la debolezza delle motivazioni che hanno spinto la sua condanna da parte del padre e una lettera dal contenuto fondamentale, sfruttata esclusivamente come deus ex-machina e poi dimenticata.
Ad essere maggiormente penalizzata dall’andamento altalenante degli episodi è, però, Lizzy Caplan. Nonostante il doppio ruolo di Josie e Lanie Burnham da adulte, l’attrice non brilla e le due gemelle dal rapporto ambiguo risultano poco interessanti. La fiacchezza dell’interpretazione va di pari passo con l’approssimazione dei segmenti dedicati alle sorelle Burhman, a tratti banali e confusi. Perfino dalla scena finale che le vede protagoniste ci si aspetta di più; ma del loro percorso rimane un senso di incompiutezza, nonostante le intenzioni altre della serie.

Truth Be Told è un’occasione sprecata, insomma; manca di carattere. La serie Apple rimane sempre in bilico tra il serio e il patinato, non riuscendo né a creare una stimolante commistione delle parti né a far prevalere in modo deciso una sull’altra. Se il lato A dell’audiocassetta era composto da un’unica traccia incompleta, quelle del lato B appaiono frustranti e grossolanamente collegate. La verità in Truth Be Told a un certo punto arriva ma non è certamente spiazzante, e la curiosità che spinge a raggiungere la conclusione (sostenuta sicuramente dal ritmo incalzante degli episodi) deriva soprattutto dal desiderio di darsi ragione; desiderio poi totalmente appagato.
Dalla chiusura di questo cerchio si rimane poco convinti, delusi da un progetto dalle ottime potenzialità ma mediocre nell’esecuzione. Un’indagine, quella di Poppy, che risulta sommaria e priva di quelle suggestioni che Veleno – pur non avendo a disposizione immagini, ma solo parole – mette in scena così bene. Sembra quasi di vederli i bambini di Trincia e Rafanelli, li si sente vicini; si crea con loro un contatto profondo, un legame. Nichelle Tramble Spellman, showrunner della serie, non riesce a raggiungere gli stessi intenti, pur essendo evidente lo sforzo iniziale. La vita di Poppy non mancherà; il suo podcast sarà solo uno dei tanti a popolare la rete, al contrario di quello di Koening diventato non solo un successo mondiale, ma addirittura oggetto di studio e lezioni scolastiche.
Questo è l’altro lato della storia. Il caso Cave ora è davvero chiuso, forse troppo presto. Nonostante la prematura conclusione, però, le parole incise sul lato B di questa audiocassetta non lasciano davvero il segno. Rimangono sospese, in bilico insieme alla serie che ha provato a raccontarle.
Valentina De Brasi