In un’intervista del 2005, Mario Monicelli parlava delle particolarità dei due comici più amati dall’Italia degli anni 50, Totò e Alberto Sordi, e dei personaggi che spesso interpretavano. Il primo era sempre incuriosito da come facesse il secondo a far tanto ridere, pur portando sullo schermo uomini abietti e repellenti; se ne potrebbero citare a decine, ma è singolare come uno dei più estremi di questi individui sia il protagonista di un film intitolato Un eroe dei nostri tempi (1955).
Alberto Menichetti è uno dei peggiori esseri umani con cui si possa avere a che fare. Questa la sua presentazione: ossessionato dai potenziali rischi della vita, ogni giorno, annota su un taccuino qualunque attività svolge; la motivazione? In caso di falsa accusa, avrebbe sempre un alibi pronto. È la prima di una sterminata sequenza di paranoie che, insieme al servilismo più becero, riesce a dare forma al peggiore tra gli impiegati stereotipati. Non è quindi la simpatia a originare ilarità, ma i suoi atteggiamenti, quasi surreali, esagerati a tal punto da suscitare il ridicolo, la derisione.

Dall’eccessiva ipocondria sociale, portatrice di umorismo, si passa alla (complementare) adulazione dei superiori, che genera un fastidio crescente. Con questo doppio aspetto, e col finale, l’importanza di Un eroe dei nostri tempi sta nel mostrarsi come un fantastico germe di quella che pochi anni dopo – con lo stesso Monicelli, I soliti ignoti (1958)e La grande guerra (1959) – sarebbe diventata la Commedia all’italiana.
La caratterizzazione della risata progressivamente incrinata, che schernisce i difetti degli italiani del boom economico, è simile a quella che provoca l’eroe Alberto; un proto-mostro di Dino Risi, che, invece d’irritare per il suo aspetto fisico, disturba tramite i gesti o con le parole. E se la peculiarità delle storie di mostri, vedovi, divorzi, medici e sorpassi fu l’abolizione del lieto fine, ciò che accade al dipendente di un cappellificio in questione non si allontana del tutto dalla stessa logica.
Un Riso amaro che, collocandosi temporalmente a metà fra quello di Giuseppe De Santis e il suo estraneo degli anni 60, rappresenta un passaggio fondamentale per un cinema italiano che aveva già seppellito il dopoguerra e si proiettava verso la fioritura di un genere d’ innovazione e fortuna.
Da notare: la colonna sonora di Nino Rota e l’apparizione di un giovane Carlo Pedersoli (Bud Spencer) nel ruolo di Fernando.
Un eroe dei nostri tempi è stato selezionato fra i 100 film italiani da salvare.
Roberto di Matteo