Sul sito di #Cinefacts Teo Youssoufian chiude la sua recensione di Artemis Fowl con un’osservazione raggelante: ultimamente i discussi live-action Disney tratti da classici come Il Re Leone o La Bella e la Bestia hanno fruttato alla casa del Topo “tre volte e mezzo la spesa”, mentre tentativi di nuovi franchise come questo o Nelle pieghe del tempo falliscono tanto miseramente da rendere sempre meno probabile che Disney sia disposta in futuro a uscire dal seminato con idee innovative. Per Artemis Fowl il consenso di pubblico su Rotten Tomatoes si aggira intorno al 21%, mentre quello critico al 9%, cifra sconfortante che segna comunque un bel passo avanti rispetto allo 0% delle prime ore. Mai e poi mai un aggregatore di recensioni dovrebbe sostituire la riflessione personale, ma se il buon giorno si vede dal mattino, cifre del genere per un prodotto ad altissimo budget, tratto da una popolare saga letteraria e che si rivolge alla platea più vasta possibile, danno un’idea abbastanza precisa di bersaglio mancato.
Molti recensori stanno ignorando i romanzi per concentrarsi sulla pura e semplice inesistenza cinematografica di quest’ultima creatura Disney, “salvata in corner” (secondo un’opinione diffusa
maligna ma per niente peregrina) dal lockdown che le ha impedito di andarsi a sfracellare nelle sale. C’è chi accusa la regia svogliata di Kenneth Branagh – sulla carta il regista perfetto, dotato di gravitas e umorismo britannico in pari misura, irlandese alle prese con una saga che dell’orgoglio irlandese fa la sua bandiera, “svezzato” all’intrattenimento con grandi effetti speciali da un ultimo periodo speso fra Marvel e Agatha Christie; chi lamenta le visualizzazioni opache e tecnologicamente non al passo con gli anni delle scene ambientate nel mondo magico; chi preferisce scagliarsi contro una sceneggiatura-colabrodo, che non ha idea di come sviluppare il racconto e lascia grandi nomi come Judy Dench e Colin Farrell a boccheggiare in cerca di un dialogo decente; chi sussurra che all’inespressività del piccolo attore protagonista Ferdia Shaw abbia sopperito la parentela illustre con nonno Robert Shaw (1927-1978), il clamoroso attore inglese dalla faccia losca rimasto noto, fra l’altro, per l’interpretazione di Quint in Lo Squalo.

“Hanno tutti ragione”, ma riteniamo comunque opportuno sottolineare l’entità dell’occasione sprecata da Disney in relazione al materiale di partenza; per riassumere in un unico punto l’essenziale, diciamo solo che il target di Artemis Fowl è potenzialmente il più inclusivo e trasversale immaginabile, non solo in termini di età (“un libro per ragazzi così sofisticato che non potrete fare a meno di rubarlo ai vostri figli” titolava una recensione del primo capitolo) ma anche in tutta una serie di punti caldi del dibattito culturale contemporaneo: è quasi desolante veder cambiare etnia o genere ai personaggi (con almeno un clamoroso autogol: Leale diventa nero, ma in inglese il suo nome è “Butler” – “maggiordomo”) quando le stesse cause che Disney perora con bieco spirito mercantilistico innervavano le trame dei romanzi; e a volte le modifiche ledono irreparabilmente la fitta agenda politica dei romanzi di Eoin Colfer, come nel caso dello struggle for life della giovane ufficiale di polizia elfica Spinella Tappo, prima recluta “donna” nella storia del corpo, costretta a dare il massimo contro i colleghi maschi per non essere licenziata – sparito nel nulla a fronte di una più innocua e meno conflittuale rappresentazione del commissariato come luogo di pari opportunità (inaccettabile per chi ha realizzato Zootropolis!!); o ancora, nel momento forse più cruciale di
sempre per la lotta ambientalista non si capisce come abbiano fatto i creatori a farsi sfuggire i continui accenni alla repulsione del Piccolo Popolo per la condotta umana nei confronti del pianeta e dei suoi abitanti. O dobbiamo prendere come manifesto Disneyano sul tema la dipartita del “gretino” Thanos in Avengers Endgame?
Artemis Fowl non farà sicuramente fioccare le iscrizioni su Disney+, e rischia di convincere anche i più strenui sostenitori del professionismo Disney che un certo vuoto di idee, svogliatezza, incapacità di scegliersi i cavalli vincenti (questo aveva tutte le carte in regola per essere uno dei franchise del futuro) siano effettivamente nell’aria. Restiamo in attesa di giustizia per Artemis Fowl. Magari sul piccolo schermo, che tanto più piccolo di così non può essere.
Lorenzo Meloni