Una silenziosa città di notte, la via deserta, una luce fioca di un neon proviene da un’ampia vetrata di un bar, ultimo barlume in una città avvolta dalle tenebre della notte. I nottambuli (titolo originale Nighthawks), esposto all’Art Institute di Chicago, è un quadro dipinto nel 1942 da Edward Hopper, uno dei maggiori artisti del “Realismo americano”. Hopper è forse il pittore che riesce a rappresentare al meglio il malessere della società americana dopo la Grande Depressione causata dal crollo di Wall Street nel 1929, ritraendo la solitudine, l’incomunicabilità e il malessere dell’essere umano, in paesaggi e interni architettonici silenziosi. I suoi malinconici personaggi sembrano il più delle volte in attesa di qualcosa che, forse, non avverrà mai.
All’interno del locale tre clienti (una coppia e un uomo di spalle) sono seduti e appoggiati al bancone, in cui l’unico soggetto in movimento dell’intera scena è il barista, ignorato dai clienti. I numerosi sgabelli sono vuoti, in modo da focalizzare l’attenzione sui pochi personaggi presenti e la loro solitudine. Questi non parlano, non comunicano, non vi è alcun tipo di interazione, regna il silenzio e un’aria greve sovrasta la scena, dove ognuno è prigioniero dei propri pensieri, in un vagabondare notturno meditabondo, più mentale che fisico. La coppia ha le mani che quasi si toccano, ma tra loro sembra esserci una grande distanza. Sono la rappresentazione della borghesia americana, con le sue malinconie, rimpianti e disillusioni, reduce dal disastro economico del 1929.
Il tema, ricorrente negli Impressionisti, che Hopper aveva avuto modo di conoscere in un viaggio che lo aveva portato anche a Parigi, torna a sottolineare l’immagine dell’isolamento dell’individuo nella grande città, come nel caso di Degas con L’assenzio o di Manet con L’acquavite di prugne. La grande città non favorisce il rapporto tra le persone.

Al di là dei soggetti, forse, altrettanto importanti sono i colori, predominanti sul verde, rosso, giallo e bianco. Due colori complementari (verde e rosso), due primari (rosso e giallo): contrasti che dovrebbero donare vivacità e vitalità all’opera, ma l’artista riesce abilmente a depotenziarli creando uno sfondo inanimato, un palcoscenico che accoglie incontri fortuiti e senza futuro nella rappresentazione della solitudine esistenziale.
L’osservatore guarda dalla strada verso il locale notturno, ed è come se stesse guardando la vetrina di un negozio. Il vetro è qui un elemento dominante, e nonostante la trasparenza di cui è costituita la sua materia, in realtà crea una netta separazione tra l’osservatore e la scena, unendo in senso ottico e nello stesso tempo separando. Un senso di forte alienazione pesa sul dipinto, che assume, a tratti, il sapore di un film noir.
Il punto di vista dell’osservatore nei lavori di Hopper è fondamentale ed i suoi dipinti non sono concepibili senza di esso. Lo sguardo dell’osservatore non viene mai restituito dai suoi quadri, ad eccezione di qualche autoritratto. Ne risulta che l’interazione delle persone avviene sempre entro il confine della scena stessa.
Le linee orizzontali definiscono la scena e la profondità del luogo di azione, come in teatro, dove è evidente il confine tra palco e platea. La marcatura delle linee del bar sono cosi evidenti da porsi in netto contrasto con la strada buia e deserta; anche il bancone stesso è un altro muro divisore tra chi cerca dialogo e chi vive ancora nel proprio mondo interno. Più che l’umanità, il vero soggetto di quest’opera è l’alienazione, insieme al profondo senso di solitudine.
Edward Hopper è stato tra i più grandi pittori del realismo americano, resosi noto soprattutto per i suoi ritratti della solitudine nell’American way contemporanea. Hopper nacque il 22 luglio del 1882 a Nyack, nello Stato di New York. Morì all’età di 84 anni nel suo studio a New York.
Tommaso Amato