Gli anni amari vorrebbe essere il ritratto intimo di Mario Mieli, attivista e fondatore del movimento omosessuale italiano dei primi anni Settanta.

Vorrebbe, appunto.

Il film di Andrea Adriatico paga infatti un’indecisione di fondo che lascia allo spettatore la sensazione di un’occasione mancata. In bilico tra ritratto intimo e racconto di una contestazione, Gli anni amari non prende nessuna delle due direzioni ma si limita a saltare da una all’altra.
La forma in cui le parti biografiche/familiari e quelle più “generali” legate al contesto sociale ed economico sono cucite insieme lascia interdetti; si arriva alla fine del film con di tutto un po’, ma senza che la figura di Mieli sia stata messa a fuoco in modo convincente.

Ed è un vero peccato perché la statura morale e culturale del protagonista emerge solo a sprazzi, compressa tra siparietti in alcuni casi immotivati e in altri troppo didascalici.
Mieli è senza dubbio una delle personalità più autorevoli e affascinanti della contestazione degli anni ‘70 e una delle voci che dovremmo tornare ad ascoltare; eppure ne Gli anni amari troviamo solo qualche frase ad effetto pronunciata qua e là, una strizzata d’occhio al pubblico di oggi che non si concretizza mai in una vera propria articolazione organica.

Oltre a questo non convincono le scene corali, mai completamente azzeccate, e alcune parti che più che aggiungere qualcosa al film lo danneggiano (l’incontro con i militanti dell’MSI, la riunione con i massoni).
Alla fine è il ritmo generale della storia che risente di questa indecisione costante sulla priorità da assegnare (lato intimo o contestazione sociale?) e che finisce per allontanare lo spettatore.
Si arriva alla conclusione del film con il rimpianto di aver solamente sfiorato la reale grandezza di Mieli, il suo lacerante conflitto e la sua carica rivoluzionaria. Sarà per la prossima.

Marco Lera

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