“Qui a Matera girano soltanto film su Gesù Cristo”
Una troupe sgangherata ma che si prende molto sul serio, composta soltanto da regista e assistente, torna a Matera, propria città natale, per girare un film chiamato “Il Vangelo secondo Mattei”. Che cosa nasconde questo titolo citazionista e dissacrante? A sentire il regista, sarà “ricco di sconcertanti verità, un film sul petrolio, e chi tocca il petrolio muore.”, ma ci vuole poi poco per stanare la volontà programmata di battere il ferro caldo della tematica per raccogliere consensi e creare dibattito.
Grazie alla sponsorizzazione di una marca di materassi, di cui per “contratto” dovranno mostrare il prodotto (finirà incastrato a casaccio a fare da nido per degli ingrifati Adamo ed Eva), devono riuscire a concludere il mediometraggio nella ingenua (o folle) speranza di mandarlo in concorso alla Berlinale. Ma dal momento che “i critici, i festival, si eccitano a queste cose”, il loro Gesù dev’essere per forza qualcuno che ha preso parte alla pellicola di Pasolini Il Vangelo secondo Matteo: da qui i non pochi problemi nel trovare un attore ancora sano (o vivo).
Chi finirà con l’essere la vittima designata per vestire i panni del primo Cristo ottuagenario della storia del cinema? Flavio Bucci (La classe operaia va in Paradiso, La proprietà non è più un furto, Il marchese del Grillo, Ligabue), in uno degli ultimi lavori per il grande schermo prima della sua morte, interpreta Franco Gravela, un attore materano dilettante che partecipò come comparsa alla pellicola di PPP. Questo aspetto, oltre che di poter puntare i fari ancora una volta sulla maestria dell’attore formatosi allo Stabile di Torino, ci permette di approfondire ancora di più l’aspetto-meta della pellicola: il primo Gesù che ci appare, di nome Morcinelli e che finisce ricoverato dopo aver passato tutta la giornata coi piedi a bagno nella reinterpretazione lucana della moltiplicazione dei pani e dei pesci, è in realtà il vero Franco Gravela, una figura istituzionale nell’ambiente filmico lucano. Mentre l’ultimo, fugace apparizione onirica, è Enrique Irazoqui, nientemeno che il Gesù di Pasolini.
Assieme a questi ultimi, da sottolineare gli apprezzabili cammei di figure come Andrea Orvart, Mimmo Calopresti e Gianni Ferreri, oltre al pregevole lavoro alla fotografia di Rocco Marra, al montaggio di Francesco De Matteis, e al resto del comparto tecnico che mette insieme scelte interessanti.
I factotum Pascal Zullino e Antonio Andrisani (qui registi, produttori, nonché attori dai sorprendenti tempi comici) al loro primo lungometraggio, usano l’espediente metacinematografico per racchiudere in una breve storia tanti liberi spunti filmici e ancor più temi. Nel calderone finisce tutto, apparentemente troppo: la figura di Gesù, Pasolini e i suoi “Il vangelo secondo Matteo” e “Petrolio”, la Basilicata e il rapporto col greggio, il suo gioiello Matera, l’Eni e l’ex presidente Enrico Mattei, la mafia, la politica e la corruzione, il cinema indipendente, l’ambizione e l’invisibilità. Questa scelta, che così elencando può sembrare ingenua, trova in realtà terreno fertile in una sceneggiatura non scontata, asciutta ma non raffazzonata e soprattutto ironica.
Ed è proprio la carta dell’ironia che valida il film: laddove la massa abnorme di tematiche sarebbe stata ingestibile anche per una produzione hollywoodiana, attraverso le lenti della (auto) presa in giro, l’aspetto grottesco passa in rilievo, rendendo chiaro e scorrevole, anche se superficialmente, ciò che forse non lo sarebbe potuto essere per definizione.
“La Basilicata era un Paradiso terrestre. Ma un bel giorno in questo Giardino dell’Eden… si insinuò la tentazione… una mela marcia e nera.”
E se questa mela tentasse anche noi?
Federico Benuzzi