Da sempre la magica storia del cinema italiano ha implicato un legame duraturo tra l’immaginario collettivo del nostro Paese e gli attori che nel corso dei decenni si sono sedimentati nei nostri ricordi con le loro interpretazioni. La parabola del cinema nostrano ha saputo invero imporsi agli occhi del grande pubblico regalando una galleria di personaggi sfaccettati che sono stati il riflesso delle nostre debolezze, la deformazione dei nostri paradossi, lo stereotipo delle nostre caratteristiche.
Dalla sua diffusione alla fine degli anni Cinquanta al declino nel ventennio a seguire, il genere della cosiddetta “commedia all’italiana” ha sancito l’affermazione di volti acclamati dalla critica e amati dagli spettatori come Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi e Ugo Tognazzi, tutti geniali e incomparabili nelle loro performance. A questo gruppo di “moschettieri” è doveroso aggiungere un altro “mostro” sacro del cinema italiano di cui oggi ricorre il centenario della nascita: Nino Manfredi.
Nato il 22 marzo 1921 in una famiglia ciociara di origini contadine e cresciuto nella capitale, negli anni della seconda guerra mondiale Manfredi riesce a concludere il percorso universitario alla facoltà di giurisprudenza e poco dopo ottiene il diploma presso l’Accademia nazionale di arte drammatica per realizzare il sogno di diventare attore. Tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta l’esperienza teatrale lo vede affrontare la prosa con testi classici di Shakespeare e Ibsen, sotto la regia di Luigi Squarzina, Giorgio Strehler e Orazio Costa, per poi passare al teatro di rivista e alla commedia musicale con Garinei e Giovannini (magistrale il suo primo Rugantino del 1962).
Un tratto che ha reso unico “il Ciociaro”, come lo soprannominava Luigi Magni, suo regista, collega e amico, è la capacità di trarre la forza dalle sue origini, incarnando egli stesso gli aspetti peculiari della propria terra in un impasto irripetibile, come sottolineato dal figlio Luca: “Era un po’ come il pane casareccio della sua terra ciociara: compatto e saporito fuori, ma con tanti buchi nascosti al suo interno”.
La potenza dell’arte di Manfredi è racchiusa proprio negli interstizi della sua anima, tra malinconia, leggerezza e profondo attaccamento alla vita, che lo ha reso un interprete straordinariamente brillante nel registro comico e spiazzante in quello drammatico. La sua versatilità difatti l’ha offerto come uno degli attori più incisivi nel panorama dell’intrattenimento, grazie a un insospettabile perfezionismo al limite del maniacale: Dino Risi, suo regista in ben sei pellicole nel corso degli anni Sessanta, lo definì come una straordinaria macchina ad orologeria dai tempi comici perfetti.
Dal buon Geppetto nello sceneggiato televisivo Le avventure di Pinocchio (Luigi Comencini, 1972) al portantino idealista Antonio nel film C’eravamo tanto amati (Ettore Scola, 1974), dal guercio e dispotico Giacinto Mazzatella in Brutti, sporchi e cattivi (Ettore Scola, 1976) all’emigrante ciociaro in Svizzera in Pane e cioccolata (Franco Brusati, 1974), Manfredi ha seminato prove attoriali camaleontiche che gli hanno permesso di raccogliere tanto l’affetto della gente quanto l’assegnazione di numerosi riconoscimenti da parte dei critici e delle giurie, come dimostrano i quattro David di Donatello e i quattro Nastri d’argento come miglior attore protagonista, senza contare i premi ricevuti in veste di regista e sceneggiatore.
Nino Manfredi è stato un professionista carismatico che ha saputo sposare la propria ironia anche con il ritmo e l’estetica dei media moderni come la televisione, diventando uno dei testimonial più richiesti ed emblematici del piccolo schermo nazionale, dai preistorici Caroselli al celebre sodalizio con la Lavazza, dall’ex brigadiere Fogliani nella serie televisiva Linda e il brigadiere (Rai1, 1997-2000), alla promozione nel 1999 del cambio della lira in euro.
Attraversando le assi del palcoscenico, il mezzo televisivo, il grande schermo, la musica, la pubblicità e la politica, Manfredi ha giocato con i gusti, le correnti e le filmografie imperanti, accompagnando la narrazione popolare della nostra collettività lungo il boom economico fino agli anni del terrorismo e della globalizzazione del nuovo millennio, in un costante aggiornamento della propria maschera che ha saputo mantenere, tra garbo e sarcasmo, una sincerità umanità che ancora oggi ci spinge a rivolgergli un sentito “grazie”.
Grazie Nino, grazie di tutto.
Leonardo Pacini