Un malinteso tra un gruppo di ragazzi e un poliziotto in borghese degenera e si conclude in una spirale di violenza e sangue.
Il principale problema di Zoo, superata la banalità del titolo, è la polarizzazione che rischia di creare intorno a un tema delicato, schierandosi senza mezze misure.
La colpa del fraintendimento, quasi comico per insensatezza, viene addossata completamente al poliziotto, dipinto fin da subito come un losco figuro vestito di nero, un gorilla, per rispettare il titolo, che non dà adito a dubbi rispetto ai comportamenti violenti che di lì a poco intraprenderà. Un secondo problema è rintracciabile nella cifra stilistica ricercata esplicitamente dall’autore, ossia la volontà di rifarsi a una regia da videoclip musicale: «In early 2019 i was contacted by Anthony Galati […] he comes from an electronic music background and he wanted to get in touch about a music video idea he had for his project Solitary Dancer. […] We ended up shooting the music video as a short film»1. In numerosi momenti si avverte la mancanza di una musica, tanto necessaria che i frequenti cambi di inquadratura e il montaggio frenetico dei primi minuti perdono, senza di essa, di significato narrativo. La chiosa, che arriva nei titoli di coda, la dedica dell’opera «a tutte le morti insensate dei nostri fratelli e sorelle per mano della polizia», non basta a rivalutare un lavoro, pregevole negli intenti, ma di mediocre realizzazione.
Tommaso Quilici
Note:
[1] A. Proulx, It Can Happen Here: A Conversation with Will Niava, «The Current», 26 gennaio 2021, (https://www.criterion.com/current/posts/7257-it-can-happen-here-a-conversation-with-will-niava)
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