“Quanto segue è ispirato a una storia vera, la storia vera è ispirata a una storia falsa, la storia falsa non è molto ispirata”
2020, Berlino: i fratelli D’Innocenzo portano a casa l’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura e finalmente (anche se un po’ ritardo) l’Italia punta i riflettori su questi due nuovi registi, discussi e complessi, inaspettati e interessanti, emblema di un nuovo cinema d’autore. Arriva anche la candidatura per i David di Donatello come miglior film e miglior regia.
La coppia di cineasti aveva esordito nel 2018 con La terra dell’abbastanza (film presentato al festival di Berlino 2018, sezione “Panorama”). Fabio e Damiano D’Innocenzo sono due gemelli, classe ’88, adoratori e cultori di Pasolini e del Neorealismo, narratori non convenzionali della periferia romana e soprattutto delle esistenze che la compongono.
Il film candidato ai David si distingue per complessità, stratificazione e coraggio. Una voce narrante (Max Tortora) legge un diario casualmente ritrovato nell’immondizia e accompagna lo spettatore a Spinaceto: una provincia surreale, la periferia di un qualcosa di altro, l’ombra di una città troppo povera per essere ricca e troppo ricca per essere povera. Sullo schermo c’è la periferia, ma il film si spinge lontano dalla costante romanocentrica di un certo cinema italiano e da un manierismo pasoliniano che indaga questi contesti da un punto di vista quasi sempre borghese. La disperazione rabbiosa prodotta dall’insoddisfacente mediocrità degli adulti diventa protagonista del film, in cui una comunità di famiglie interagisce in un quartiere apparentemente normale.
In un’estate afosa all’ombra di Roma, delimitata e scandita solo dalla chiusura e dalla seguente riapertura della scuola, Vilma aspetta un figlio dal fidanzato, entrambi senza affetto e ambizioni; i coniugi Rosa crescono la propria figlia tra mancanza di amore, aridità, invidia per il rendimento scolastico dei figli dei coniugi Placido e disprezzo per la presunta inferiorità della classe sociale di quest’ultimi. Imparati a scuola i rudimenti per la costruzione di una bomba e l’assunzione di veleno, i bambini delle famiglie giudicano e distruggono il mondo degli adulti, cercano di esprimere nell’annullamento dell’esistenza la sofferenza, causata da quegli stessi genitori che non sanno più decodificarla.
Rispetto all’ opera prima dei due registi, si evidenzia un sofisticato passaggio da Realismo a Surrealismo. Lo stile si fa più raffinato, con studiatissimi primi piani che antepongono la sofferenza, la passività, il sadismo dei personaggi alla sinossi, grazie anche alla contrapposizione tra lo sguardo dolce della fotografia e dei colori e l’atrocità del mondo descritto. Favolacce è disarmante e straniante, perché Spinaceto non è un mondo peggiorato, ma il confine tra la distopia e una sofferenza reale, riconosciuta e di cui si ha un’identificabile coscienza è labile.
La normalità nasconde un’inquietudine angosciante, soffocata dal desiderio di mostrarsi perfetti agli occhi degli altri e anche ai propri. Una storia in cui si ride poco, ma si inorridisce molto. Famiglie malsane, fallimenti esistenziali, genitori ignoranti e grotteschi, madri succubi e stordite che non generano rabbia, ma solo la consapevolezza angosciante che non c’è più speranza.
“Sento parecchio rimorso di avervi raccontato questa storia insensata e amara e anche pessimistica. Vi meritavate forse qualcosa di più realistico, da strada normale, di quelle che accadono tutti i giorni e non lo sfogo di un annoiato dalla vita, vi chiedo scusa”
Greta Gorzoni