(Domenica 16 maggio 2021, Teatro Fabbricone, Prato)

Per il progetto di ripartenza, “esserci di nuovo”, dopo l’esordio del balletto Don Juan dello scorso 6 maggio, la Fondazione Teatro Metastasio ricomincia da una produzione interna, affidata al prolifico Gruppo di lavoro artistico (con l’aggiunta di Gianluca Stetur) che nei mesi addietro ha dato alla luce numerose opere di ampio successo. Con la regia di Claudio Morganti, al Teatro Fabbricone va quindi in scena Le nozze (1889) di Anton Čechov, una pièce giovanile di un solo atto ispirata a due racconti precedenti dello stesso autore e dalla forte tematica matrimoniale caratteristica di altri testi del drammaturgo russo.

Buio in sala. Gli spettatori delle prime file percepiscono, provenire da dietro le quinte, la consueta formula: «Signori, chi è di scena». Lo spettacolo può cominciare.

Si affievoliscono le luci di sala ed entra un curioso personaggio baffuto, un vecchio maestro polistrumentista (Roberto Abbiati), si sistema appena fuori dal palcoscenico coi suoi strumenti e d’improvviso inizia a suonare la fisarmonica. Si accendono le luci di scena a illuminare una lunga tavola – unico pezzo di una spoglia scenografia – apparecchiata per festeggiare il fidanzamento del viscido e veniale signor Aplombov (Oscar De Summa) con la ben più giovane Dašen’ka (Arianna Pozzoli), figlia di Evdokim Zacharoviè Žigalov (Savino Paparella) e Nastas’ja Timofeevna (Monica Demuru). L’insolente e scomposta cameriera (Ilaria Marchianò) annuncia l’arrivo degli ospiti che entrano in scena e vi restano fino a conclusione: il telegrafista Ivan Michajloviè jat’ (Francesco Rotelli), intellettuale pedante, e impulsivo spasimante di Anna Zmejukina (Paola Tintinelli), vestita di un rosso scarlatto come da note di Čechov; scortato dal padre della sposa entra un ospite venuto da lontano, il signor Dymba (Luca Zacchini), pasticcere greco, i due berranno fiumi di vino compromettendo la propria lucidità, in una successione di alzate di calici all’insegna dei festeggiamenti. La commedia grottesca continua spedita fino all’arrivo, tanto atteso, di un ospite d’eccezione, il vecchio generale Revunov-Karaulov (Francesco Pennacchia), uno snodo drammaturgico imprescindibile che va a stravolgere gli equilibri già precari tra i grotteschi personaggi di Čechov.

Claudio Morganti riesce nell’intento primigenio di cucire insieme: commedia, farsa e grottesco in uno «[…] spettacolo con più di dieci teste: un mostro» [1]. La libertà d’invenzione concessa ai propri attori genera personaggi indimenticabili come il pasticcere greco, interpretato da uno straordinario Luca Zacchini che sembra mutuare gli atteggiamenti, le movenze e la vocalità dalla Vulvia di Corrado Guzzanti, o come la giovane Dašen’ka di Arianna Pozzoli, poche battute ma forte presenza scenica, ricalcata nella postura e nel trucco sulla figlia del ragionier Fantozzi, la povera Mariangela, brutta e sgraziata e spesso vittima della cattiveria altrui. 

Pochi sono i silenzi, e continui di contro sono i conflitti verbali tra i personaggi, concentrati prima su sé stessi e poi sugli altri e che spesso si lasciano andare, come avviene solitamente nei testi del drammaturgo russo, a «irruenti monolghi e ariosi melismi»; è il caso dei costanti quanto esilaranti sproloqui del generale Revunov-Karaulov intessuti di «astrusi termini nautici, […] virtuosismi verbali, da disgradare i crittogrammi fonetici dei futuristi».

Le musiche di Roberto Abbiati, qui anche nelle vesti di scenografo, non si limitano all’accompagnamento sonoro, per quanto funzionale, tipico dell’opera di Čechov – fatto di segnali acustici e suoni «off», e volto al raddoppio della noia e dell’avvizzimento paralitico dei personaggi dei suoi drammi – ma al contrario sono fonte di vita degli stessi personaggi, ne consentono l’azione e scandiscono dal principio alla fine i tempi della messa in scena. Il pubblico ha applaudito con entusiasmo alla fine della rappresentazione.

Note:

[1] note di regia di Claudio Morganti.

Tranne la prima, le citazioni sono tratte da A. M. Ripellino, Letteratura come itinerario nel meraviglioso, Einaudi, Torino, 1968.

Tommaso Quilici

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