Quando l’arte si mescola con la letteratura, il risultato è sempre qualcosa di ancora più sensazionale e interessante. È proprio ciò che accade nel dipinto di Pellizza da Volpedo dal titolo “Lo specchio della vita (E ciò che una fa, e l’altre fanno)”, che fa della ripresa di un verso dantesco un piccolo grande capolavoro di allegoria. Già a partire dal titolo, è possibile riflettere sul significato della parola “specchio”, che può essere intesa sia come riflesso del modo in cui ciascuno di noi conduce la propria esistenza, entrando a far parte di un gruppo in qualsiasi contesto sociale, sia come specchio effettivo, dal momento che l’immagine del gregge rappresentato è riflessa nell’acqua.
Ciò che colpisce maggiormente, osservando l’opera, non è ciò che si vede, ma il significato che si cela dietro l’immagine in sé, che può essere considerato duplice, sia negativo che positivo: da un lato, infatti, l’artista potrebbe aver inteso il gregge come rappresentativo del senso di omologazione che caratterizza la nostra vita; dall’altro, il fatto stesso di far parte di un gruppo rappresenta il modo attraverso cui l’uomo trascorre la propria vita a livello familiare e sociale. Ciò che colpisce ancora di più è che l’opera, apparentemente così semplice e di facile realizzazione, richiese all’artista ben quattro anni di “fatica artistica”, in seguito ai quali fu presentata, per la prima volta, alla Promotrice di Torino del 1898.

Partendo da approfonditi studi dal vero, l’artista utilizza, in quest’olio su tela conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Torino, una tecnica pittorica di stampo divisionista: il colore è, infatti, steso a piccoli tocchi, e l’uso di tinte armonizzate alla perfezione fa in modo che non ci sia una tonalità che prevale sulle altre, bensì un equilibrio tra luci e ombre, tra linee rette e tratti sinuosi. Ma l’opera strizza l’occhio anche al simbolismo, rappresentando, nel percorso pittorico dell’artista, una sorta di “tela di transizione” che unisce le due correnti e sembra sancire il passaggio dall’una all’altra.
Giuseppe Pellizza da Volpedo (Volpedo, 28 luglio 1868 – Volpedo, 14 giugno 1907) si occupò dei temi sociali più caldi e sentiti del suo tempo. Il suo percorso artistico risulta caratterizzato da una serie di influssi interessanti, tra cui quello verista, quello divisionista, dovuto all’amicizia con l’artista Giovanni Segantini, passando per quello simbolista, e tutti contribuirono a rendere le sue opere un crescendo di espressività, nonché dei validi spunti di riflessione.
Elemento da non trascurare, infine, all’interno dell’opera presa in esame, è anche il fatto stesso di dare una continuità alla rappresentazione, che risulta di per sé significativo: il gregge che procede in un flusso continuo è allegoria del “cammino della vita”, che per l’appunto non si ferma mai. Pure qui si può cogliere un rimando al verso dantesco di riferimento (E ciò che una fa, e l’altre fanno), presente nel III Canto del Purgatorio: è possibile che l’incedere del gregge sia stato in quest’opera avvicinato al cammino compiuto dalle anime del Purgatorio di Dante, e così come queste ultime affrontano con pazienza e speranza il percorso che le condurrà alla salvezza eterna, lo “specchio della vita umana” rappresentato dall’artista è simbolo del cammino della vita stessa, che con fiducia e speranza si snoda tra gioie e dolori.
Chiara Pirani