Nel momento in cui si troverà a guardare le “Metamorfosi di Narciso” di Salvador Dalì, saranno due le parole che l’osservatore tenderà ad associare immediatamente al dipinto, sia a partire dall’osservazione stessa, sia leggendone il titolo: trasformazione e bellezza. Il quadro, infatti, narra attraverso le figure rappresentate come la bellezza si trasformi, come i contorni evanescenti diventino nitidi, ma trasformino quello che era un personaggio dalle sembianze umane in un fiore che nasce da una crepa.

In “Metamorfosi di Narciso”, il mito viene raccontato dall’arte, e l’arte lo plasma in maniera inaspettata davanti agli occhi dell’osservatore, rendendo il risultato perturbante. Il percorso di svolgimento del racconto inizia da sinistra, mentre in secondo piano si può notare la statua di Narciso posta su un piedistallo, che ne celebra la bellezza narrata nel mito greco. Il racconto prosegue, e l’intervento dell’arte, per mano di Dalì, trasforma un capolavoro di bellezza in una figura pietrificata. La trasformazione, da sinistra verso destra, avviene anche a livello cromatico: le tinte trasparenti ed evanescenti diventano opache e nitide, rendendo l’immagine concreta e reale.

L’opera, eseguita tra il 1936 e il 1937 e attualmente conservata alla Tate Modern Gallery di Londra, viene annoverata tra le più significative prodotte dall’artista catalano: nella sua realizzazione, infatti, Dalì mette in atto per la prima volta quello che egli stesso definisce come metodo “critico-paranoico”, caratterizzato dal rendere in maniera oggettiva e razionale il frutto delle proprie interpretazioni deliranti. In “Metamorfosi di Narciso”, l’utilizzo di questo metodo si può cogliere perfettamente: il concetto-chiave è quello della metamorfosi, dal sogno alla realtà, o presunta tale, che trasforma l’uomo che si specchia in una mano che tiene tra le dita un uovo da cui nasce un fiore di narciso.

Salvador Dalì (Figueres, 11 maggio 1904 – Figueres, 23 gennaio 1989), artista a trecentosessanta gradi dalla fervida immaginazione, trascorse gran parte della sua infanzia a Figueres, nel villaggio costiero di Cadaqués, luogo in cui i genitori costruirono il suo primo studio, stimolandolo, in tal modo, già da piccolo a mettere in pratica la propria arte. Proseguì i suoi studi presso un’accademia a Madrid, per poi trasferirsi a Parigi nel 1920, entrando in contatto con numerosi artisti di spessore, tra cui Picasso e Magritte, e dedicandosi al suo primo periodo surrealista. Mantenne, però, sempre un viscerale attaccamento alla Spagna, elemento che traspare in molti dei suoi dipinti.

Nel dipinto in questione, però, ad essere messo in evidenza è il tentativo continuo, da parte di Dalì, di dare forma alle proprie interpretazioni, rendendole reali e tangibili, ma diverse da ciò che l’osservatore si aspetterebbe. È il precetto del metodo “critico-paranoico”, che consiste proprio nell’osservare un oggetto e vederne un altro: da qui la figura doppia, e ribaltata, di Narciso: una volta uomo piegato su sé stesso con la testa china, l’altra mano che tiene tra le dita un uovo che, probabilmente associato alla testa di Narciso, ci narra il culmine del racconto: la ri-nascita di un fiore.

Chiara Pirani