Fermarsi a pensare, a riflettere, a fare il punto su una situazione che sembra ci stia facendo perdere il lume della ragione, molto spesso, è un atto che si associa a un bel pianto liberatorio. O forse no, forse in quel caso le lacrime scendono lente e quasi timorose, controllate e tirate indietro per non mostrare agli altri le proprie debolezze o la propria delusione. E ci si sente soli.

La protagonista del dipinto di Edward Hopper dal titolo “Automat (Tavola calda)” sembra essere stata colta in un momento del genere, con la testa china su una tazzina di caffè e lo sguardo apparentemente assente.

L’opera, realizzata nel corso dei “ruggenti anni Venti“, eseguita con la tecnica della pittura a olio e attualmente conservata al Des Moines Art Center in Iowa (USA), raffigura, infatti, una giovane flapper, perfetta rappresentante di una generazione di donne riconoscibile dal trucco marcato e dalla disinvoltura sul lato sessuale e nel consumo di alcolici, “fotografata” in una tavola calda di Manhattan, mentre è in procinto di sorseggiare il suo caffè.

Pur trattandosi di una “tavola calda”, l’ambiente rappresentato appare freddo, quasi velato di malinconia. A regnare è la solitudine, nonostante, con alta probabilità, nel luogo immortalato dall’artista ci siano anche altre persone, magari intente a chiacchierare tra loro. La flapper appare, invece, immersa nei suoi pensieri, con il volto semi coperto da un cappello giallo a tesa larga, che sembra quasi filtrarne le emozioni. Ed è talmente estraniata dalla realtà che la circonda, che sulla vetrata alle sue spalle non si vede nemmeno il riflesso della sua figura, come accade invece per le luci del locale.

A livello cromatico, l’utilizzo dei toni scuri la fa da padrone, ricalcando la solitudine che pervade la scena, illuminata da un giallo ocra che sembra appesantirla ancora di più.

Edward Hopper (Nyack, 22 luglio 1882 – Manhattan, 15 maggio 1967) nasce in una famiglia borghese che incoraggia da subito il suo talento nelle arti, spronandolo ad avvicinarsi alla lettura, alla scrittura e al disegno. Coltiva nel tempo il sogno di diventare architetto, ma si guadagna da vivere facendo l’illustratore. A influire fortemente sul suo modo di fare arte sono gli studi condotti alla New York School of Art e il soggiorno a Parigi, che gli consente di entrare in contatto con la cultura europea, traendone ispirazione per le sue opere. Tonerà poi a vivere nella sua amata New York, avvicinandosi all’Impressionismo e immortalando nei suoi lavori la tipicità dei suoi luoghi e delle sue persone, rappresentando la linea sottile capace allo stesso tempo di unirle e di separarle.

L’opera in questione fu presentata all’inaugurazione della seconda mostra personale dell’artista, il giorno di San Valentino del 1927. Il dipinto, in senso più ampio, potrebbe rimandare alla percezione distorta di una donna emancipata, come lo era la flapper negli anni ’20, che si trova a doversi fare largo tra gli stereotipi, ma che resta inascoltata, costretta a soffocare i propri ideali nel silenzio di un locale in cui si alternano mille voci, di un’epoca, forse ancora non terminata, in cui si fa fatica a far valere la propria.

Chiara Pirani

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