Catturare un istante di viaggio, per imprimerlo nella mente e conservarlo, è un atto che si ripete da tempo immemore, che si ripete, sì, ma che si è evoluto e che si evolve: cambia, infatti, il modo in cui lo si fa o lo strumento che si utilizza. Questo gesto dell’immortalare un momento che forse non si ripeterà mai più sembra consolare chi lo compie, semmai un giorno vorrà rivivere quell’istante, ma pare essere anche un mezzo potente per raccontare la propria esperienza agli altri, per mostrare, per condividere.
Il “viaggiatore” di oggi è Monet, che ci accompagna in Francia, a contemplare il mare dalla balaustra di una terrazza balneare.
Nella sua opera “La terrazza a Sainte-Adresse“, realizzata nel 1867, l’artista fotografa con i suoi strumenti pittorici uno scorcio che mostra una località marina in cui alcuni personaggi sembrano rilassarsi e godere del sole e della brezza che li avvolge. La scena è pervasa da un’atmosfera frizzante e spensierata, come lo era quella della Francia del Secondo Impero, immortalata facendo appello anche a “souvenir di viaggio” (in questo caso, non fisico) che Monet integrò nel suo modo di fare arte. Si possono, infatti, cogliere rimandi alla pittura giapponese, particolarmente in voga in quel periodo, tanto da creare una vera e propria moda definita “Giapponismo”. Per la realizzazione di quest’opera Monet si ispirò, infatti, a una xilografia dell’artista giapponese Hokusai, stampa ancora oggi conservata ed esposta nella casa dell’artista francese a Giverny.
Da un viaggio, quindi, solo “spirituale”, per trattenere e immortalare tecniche e influssi provenienti da altri luoghi, si passa, osservando l’opera, a notare che probabilmente anche i personaggi raffigurati, pur essendo avvicinabili a livello di fisionomia a parenti del pittore, si comportano da “viaggiatori“, complice anche il fatto di rappresentare, all’interno del dipinto, una località prettamente turistica. Il viaggio di Monet continua anche “nel passato”: si possono notare, infatti, rimandi alla Normandia, regione in cui l’artista trascorse parte della sua infanzia, attraverso i colori utilizzati, con particolare riferimento ai gladioli gialli e scarlatti che spiccano tra la rigogliosa vegetazione raffigurata.
Claude Monet (Parigi, 14 novembre 1840 – Giverny, 5 dicembre 1926), considerato l’iniziatore nonché il massimo esponente della corrente artistica dell’Impressionismo in Francia, iniziò ad essere attratto dal disegno in tenera età, tanto che, alcuni anni dopo, sotto la guida del maestro Ochard, si specializzò nella realizzazione di sferzanti caricature, arrivando ad esporle nella vetrina di una bottega sulla Rue de Paris e a “farsi un nome”. In seguito, insieme a Renoir, gettò le basi per la nascita e lo sviluppo della corrente impressionista e raggiunse la pienezza della sua potenza artistica ad Argenteuil, dove migliorò il suo caratteristico “tocco virgolettato”.
Il dipinto in questione, attualmente conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, permette di percorrere (e ri-percorrere) un viaggio anche a livello cromatico, tra accostamenti arditi e forti contrasti, volti a esaltare la luminosità delle tinte, attraverso l’utilizzo di soli colori puri. Le pennellate sono morbide e rapide, ma le figure e gli altri elementi rappresentati sono facilmente distinguibili, trattandosi di un dipinto realizzato in età giovanile, quando Monet era ancora “in viaggio” per costruire il percorso che lo avrebbe condotto a diventare il “padre” dell’Impressionismo.
Chiara Pirani