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Alessandro, come per ogni nostro ospite, ti chiedo di presentarti.

Sono Alessandro Pedretta, ho la veneranda età di 42 anni, portati anche male. Vivo a Milano e ogni tanto scrivo, oltre a fare l’operaio. Mi interessa particolarmente la poesia e un certo tipo di prosa di cultura “controculturale”: una sorta di scrittura da bassifondi, di sottosuolo. Poeticamente parlando, tra i poeti che annovero tra i miei preferiti, posso indicare Campana e una parte di Ungaretti.

Quando hai iniziato a pensare di voler pubblicare i tuoi scritti?

Non vorrei essere banale. Ho sempre avuto la passione per la lettura e questo mi ha portato a scrivere diverse cose: le prime sono state in forma poetica, forse perché la trovo più istintiva. Ho deciso di pubblicare perché penso sia un passo conseguente all’azione dello scrivere. Ho conosciuto dei ragazzi che avevano pubblicato e, anche con l’avvento del web, le cose sono un po’ cambiate. Tutto è diventato, in un certo senso, più semplice. In qualche modo, la pubblicazione, soprattutto negli ultimi anni, è diventata una cosa di massa e ciò non è un male, ma non ci sono neanche quella difficoltà e quello sforzo che una volta si provavano. I tempi sono semplicemente cambiati, ci si approccia in maniera diversa. È semplicemente un mezzo in più. La scrittura per me è comunque terapeutica: è una bella ossessione.

Il tuo esordio nel mondo editoriale avviene nel 2011 con “Questanonèpoesia”. Cosa ci puoi raccontare di quell’esperienza?

In quel momento, avevo appena iniziato ad usare Internet. Parliamo del 2011, ho iniziato tardi. Venni a conoscenza di questo piccolo concorso organizzato da un’associazione, partecipai e vinsi. Mi pubblicarono questo libro in poche copie e mandai in stampa le mie prime poesie: l’emozione di avere una prima copia in mano è senza dubbio molto bella. Ti trovi davanti ad un pezzo della tua vita.

Nel 2014 poi è stata pubblicato “Non chiedetemi il significato”.

Per me questo è un bel prodotto, un raccolta di poesie. Con il senno di poi, questa è quella che considero la mia prima vera pubblicazione. Nel mio caso è ovvio che ogni pubblicazione che faccio decido di farla con case editrici non a pagamento. Loro pagano me e non il contrario. Adesso il mondo editoriale è cambiato molto e questo aspetto va sempre specificato. “Edizioni La Gru” è stata la mia prima vera casa editrice in questo senso. Del libro riuscì a vendere tutte le copie, non ci furono ristampe, ma andò bene.

Andiamo avanti ancora e arriviamo a “Dio del cemento”. Il tuo ultimo lavoro, fino ad ora, nell’ambito poetico. 

Pubblicai il mio lavoro con questa piccola casa editrice ligure. È un libricino con quaranta poesie, che è esattamente il numero di anni che avevo all’epoca. È un insieme di sentimenti contrastanti. Mi sono soffermato sul rapporto tra un uomo e la città intesa come modernità.  Questo è stato il mio ultimo lavoro nel mondo poetico e penso che sarà l’ultimo della mia vita. Voglio concentrarmi sulla prosa, con questa mi sento più libero di spiegare meglio quella che è la mia visione del mondo.

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Arriviamo quindi al tuo ultimo lavoro. “È solo controllo” è un romanzo che ci trasporta in un mondo immaginario. Parlaci della trama. Da cosa hai tratto ispirazione?

È una storia che cominciai ad immaginare anni fa. La immaginai subito con delle illustrazioni, infatti nel libro ho avuto modo di collaborare insieme a Jab. È un piccolo racconto che considero un po’ psichedelico. È la storia di un uomo che entra in un mondo fantastico, popolato da esseri metà uomini e metà animali. Questi personaggi vogliono essere una metafora sui vari tipi di condizionamento che l’uomo subisce: dalla televisione, dal denaro, dalla religione, dal sesso e dalla voglia di successo. Attraverso questo racconto, infatti, ho voluto spiegare la mia visione su questo condizionamento che ci accompagna fin dalla nostra nascita e che ci porta a vivere una vita quasi “telecomandata”.

Hai progetti per il futuro? 

Sto iniziando a scrivere un romanzo al quale tengo molto perché semi autobiografico e ambientato a Milano. Il protagonista è un ragazzo, ma svolge un ruolo importante anche l’intera città, con le sue parti più nascoste e sconosciute. Io sono un amante delle macerie, dell’architettura industriale e a Milano se ne trova molta. È comunque un periodo in cui non sto scrivendo molto, mi sto concentrando anche su altro.

Intervista di Sarah Corsi

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