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Il gruppo di Cabiriams si è messo all’opera per creare un articolo collettivo che, a partire da un genere anche letterario, parli di alcuni importantissimi road-movie tratti rigorosamente da libri.

C’è stato un periodo in cui “ribellarsi” aveva ancora la pretesa di significare qualcosa. E forse continua a farlo, almeno per qualche ora, mentre prendiamo in mano un libro di Kerouac, Cassady o Ginsberg. E leggendo possiamo addentrarci, se scegliamo il libro giusto, in un viaggio di scoperta e riscoperta di noi stessi, sulle orme dei protagonisti che inseguono la loro ansia di “esserci”. La compulsione a vivere, scacciando via la noia e la grettezza del mondo borghese, spezzando la tristezza materialistica degli anni ’50. L’arrivo è solo una nuova partenza e il traguardo non esiste. Non può esistere perché la strada, che domina e accompagna lungo tutto il romanzo, non è altro che la vita. Il viaggio è l’immortalità. Un parallelo tra il viaggio concreto, sulla strada e il viaggio interiore, spirituale, di crescita personale. Se ne può citare anche un terzo, meno mistico e meno nobile: quello onirico e spettrale dell’alcol e delle droghe, nel nome dei padri della Beat Generation. Non è un caso se tutto questo ha preannunciato circa vent’anni dopo gli Hippy e Woodstock. Idee, il cui concetto era nobile, ma l’attuazione discutibile, atte a distruggere il nichilismo e l’apatia. Idee che forse oggi, nella società del puro nichilismo, hanno perso esse stesse di significato.

 

Paura e delirio a Las Vegas

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Paura e delirio a Las Vegas è un film del 1998 di Terry Gilliam (già regista di Brazil), ed è tratto dall’omonimo romanzo semi-autobiografico di Hunter S. Thompson.

Quando il giornalista sportivo Raoul Duke (Johnny Depp) viene incaricato dal suo giornale di scrivere un articolo sull’annuale gara motociclistica off-road Mint 400, poco fuori Las Vegas, decide di invitare con sé in questo viaggio di lavoro il suo grande amico e avvocato samoano Dott. Gonzo (Benicio del Toro). Il lavoro di Raoul diventerà però una scusa per un viaggio, su una decappottabile rossa per le strade del Nevada, all’insegna del delirio più totale e a base delle più disparate droghe, in un road movie che sembra esso stesso un grande delirio, dove è quasi impossibile distinguire il trip dalla realtà.

 

Lo straordinario viaggio di T. S. Spivet

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Photo: Jan Thijs

Trasposizione su pellicola del romanzo Le mappe dei miei sogni dell’americano Reif Larsen e interamente girato in 3D, il film è diretto da Jean-Pierre Jeunet (regista de Il favoloso mondo di Amelie). Il piccolo protagonista, bambino prodigio di 10 anni, è un appassionato di cartografia ed inventore, vive con la famiglia in un isolato ranch in Montana. Il viaggio ha inizio quando lo Smithsonian Institution lo contatta annunciandogli la vittoria del prestigioso premio Baird per l’invenzione della sua macchina dal moto perpetuo. All’insaputa di tutti, pur di ritirare il premio, il protagonista salta su un treno merci diretto a Washington D.C. Opera che sfiora l’onirico, ci porta in viaggio attraverso un’America fiabesca, selvaggia, tanto lontana quanto meravigliosa. Merito anche della poetica fotografia di Thomas Hardmeier, il film è uno spettacolo per gli occhi.

 

Stand by me

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Stand By Me del 1986 è diretto da Rob Reiner, regista noto per film come This is Spinal Tap e Harry ti presento Sally. Tratto dal breve racconto Il Corpo di Stephen King, pubblicato nel 1982 all’interno della raccolta Stagioni Diverse, il film narra la storia di Gordie, Chris, Teddy e Vern, quattro ragazzini di Castle Rock, che decidono di mettersi in viaggio a piedi, lungo i binari del treno, per vedere il cadavere di un loro compagno di scuola scomparso.

Il film si propone come classico racconto di formazione, in cui il viaggio intrapreso dai giovani eroi li farà crescere. Essi impareranno a conoscersi meglio e a conoscere se stessi, riflettendo su cosa vuol dire crescere davvero e sulla necessità di intraprendere nuove strade, anche se ignote e pericolose, per dare un nuovo senso alla vita. Un film divertente per i più giovani e malinconico per i più grandi. Da segnalare la partecipazione di un giovane, ma già innegabilmente talentoso River Phoenix nel ruolo di uno dei protagonisti.

 

Cuore selvaggio

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In contemporanea con l’inizio del montaggio del pilot del capolavoro che segnerà la terza Golden Age della televisione ovvero Twin Peaks, David Lynch nel 1990 si avventura nelle riprese di Cuore Selvaggio, tratto dall’omonimo libro di Billy Gifford.

Creando un film dai tratti tipici lynchiani, il regista, rendendo omaggio, onirico e grottesco, a Il mago di Oz, crea un road movie molto diverso dai canonici film rappresentanti la categoria, alternando scene di violenza estrema a scene bizzarre che vedono come protagonisti Nicholas Cage e una magica Laura Dern (che con Lynch aveva già girato nel 1986 Blue Velvet), e con le comparse Sheryl Lee e Sherilyn Fenn, che diverranno rispettivamente Laura Palmer e Audrey Horne di Twin Peaks.

Cuore selvaggio è sicuramente una perla della filmografia di Lynch che, creando una miscellanea di diversi generi, riesce a appassionare fino all’ultimo minuto.

 

Crash

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David Cronenberg, dopo la raffinata – per certi versi anonima – parentesi M. Butterfly, ritorna nel 1996 con una delle pellicole più morbose della sua filmografia: Crash.

Tratto dal romanzo di James Ballard, Crash è una pellicola che esamina le mutazioni psicofisiche indotte nel corpo umano da un sempre più stretto rapporto con le macchine e la tecnologia. Il film del 1996 può esser visto come l’altra faccia della medaglia di Veloci di mestiere: la faccia più cattiva, maleodorante e nauseante, dove le auto incidentate appaiono più affascinanti di quelle nuove di zecca, e i corpi feriti e mutilati più eccitanti di quelli naturalmente perfetti.

In Crash, l’eros e il thanatos si abbracciano, e aggrovigliati superano insieme la concezione di trama e di sviluppo della stessa, in un tourbillon nichilista e sovversivo che intimamente riguarda noi tutti.

 

Nomi in ordine di articolo: Anna Sintini,
Bianca Ferrari,
Edoardo Testa,
Marco Andreotti,
Cristina Bagnasco,
Giovanni Berardi

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