“Adesso ci sono computer e ancora più computer
e presto tutti ne avranno uno,
i bambini di tre anni avranno i computer
e tutti sapranno tutto
di tutti gli altri
molto prima di incontrarli
e così non vorranno più incontrarli.
Nessuno vorrà incontrare più nessun
altro mai più
e saranno tutti
dei reclusi
come me adesso …”
Charles Bukowski – Adesso ci sono i computer
Queste poche righe potrebbero fare felici molte persone. Si potrebbe iniziare l’elenco dagli insegnanti, che vedono sempre ragazzi attaccati a schermi di tutte le dimensioni.
Poi, andando avanti, si aggiungerebbero i genitori, delusi che i figli rispettino di più l’I-phone di un buon libro, e, probabilmente, dicendo questo, staranno rispondendo all’ennesima notifica sul Samsung nuovo. Insomma una schiera di adulti si oppone alla telefonia, alla tecnologia, alla telecomunicazione, dimenticandosi che se i figli a 9 anni possiedono un cellulare è perché un “adulto” ha dato loro i soldi per acquistarlo.
Questa premessa vuole essere indicativa per non approcciarsi alla poesia di Bukowski in maniera errata.
Non si tratta di una denuncia contro i giovani e l’uso spasmodico di internet o delle famose App. La critica non è rivolta all’utente, bensì alla società che diffonde una certa idea di utente. Per la precisione la società americana, patria e nemica al tempo stesso del celebre scrittore.
Un’obiezione intelligente potrebbe essere che la società, in fin dei conti, è prodotta dagli uomini.
Ma l’azione del singolo è ben diversa dal risultato della massa. Bukowski non sostiene che le persone utilizzeranno i computer per non conoscersi più, ma ritiene che la conseguenza devastante sia la totale indifferenza verso gli altri, dovuta all’utilizzo di questo nuovo oggetto. Siamo soli, incatenati a una realtà cibernetica. Nel corso della seconda metà del secolo scorso, queste paure si manifestarono in vari modi. Il pensiero bukowskiano va interpretato e contestualizzato. Bukowski muore il 9 marzo 1994, un periodo molto diverso da quello attuale. I timori dell’epoca erano giustificati, forse quelli di adesso lo sono ugualmente, ma per motivi diversi. Bisogna ricordare che Bukowski è denunciatario di un mondo, quello americano, insensibile e distaccato, dove l’umano valeva meno della merce al supermercato. Quando il benessere economico si fonda sul prodotto da comprare e la tua felicità sul denaro per acquistare, questo non sorprende. Bukowski visse l’emarginazione, le botte, l’abbandono, l’alcol che ritorna impetuoso dopo la morte di Jane Cooney Baker, suo vero grande amore. Non deve, quindi, sorprendere se, osservando come il computer cambia la vita delle persone, egli voglia annunciarne il pericolo.
Il pericolo dell’escluso, il cui grido non viene sentito, perché, quando risulterà troppo tardi, tutto questo sarà già diventato “la normalità”.
Anna Sintini
fa riflettere!
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Grazie mille! Scusa ho visto il tuo commento adesso. Sono la ragazza che ha scritto l’articolo : )
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