The Sisters Brothers

Dopo il film dei Coen ecco un altro western in concorso ufficiale a Venezia 75, The Sisters Brothers, del regista francese Jacques Audiard, adattato da Audiard stesso e da Thomas Bidegain dal romanzo di Patrick De Witt.

Anno 1851: si parte dall’Oregon e si arriva in California seguendo la vicende dei due fratelli Sisters, Eli (John C. Reilly) e Charlie (Joaquin Phoenix), due killer navigati assoldati dal Commodoro per inseguire e uccidere un uomo, il cui viaggio si intreccia presto con quello di John Morris (Jake Gyllenhaal) e Hermann Warm (Riz Ahmed). Questo viaggio avrà esiti assolutamente inaspettati e porterà i personaggi a una profonda trasformazione in quello che effettivamente è un grande racconto di formazione. Più una fiaba che un western: di western, in effetti, ci sono solo il setting e la situazione iniziale, ma il resto del film sorprende sia per la rappresentazione assolutamente inedita del cowboy che per il suo continuo evitare gli standard di genere.

Se il personaggio di Charlie, con la sua ubriachezza molesta e la sua ignoranza (a volte molto esilarante) è tutto sommato un cowboy nella norma, quello che sorprende di più è invece Eli, che in effetti è anche il vero protagonista della storia. Eli è un tenerone: piange per un cavallo, dorme abbracciato a uno scialle da donna e assolve da figura materna a Charlie (si lava anche i denti). Contro ogni standard di genere, questo cowboy non ha nulla da spartire con quelle figure granitiche da western classico né con quelle di Leone. Come Audiard ha ribadito, i suoi riferimenti non sono americani né, in effetti, ci sono stati veri e propri riferimenti al genere in sé – non abbiamo grandi paesaggi o mitologia della frontiera, niente retorica da New Deal.

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Audiard usa il genere soprattutto per parlare del problema di cosa fare di questa civilizzazione, riflettendo sul significato della violenza e della legge del taglione che sempre ci sono state rappresentate nel genere (no, non si pensi a Peckinpah, perché neanche lui c’entra). The Sisters Brothers è un western che dimostra di poter ancora parlare di contemporaneità ma allo stesso tempo ne parla in un modo in cui il western non farebbe mai. Ecco cosa rende questo film assolutamente anomalo e necessario, dimostrando che i generi sono ancora quel cinema che parla dell’oggi come spesso l’altro cinema (spessissimo considerato migliore a priori) non sa fare e dimostrando che i generi si evolvono e non si dissolvono.

Un’ultima nota a Alexandre Desplat, la cui colonna sonora evita, ancora, l’inevitabile confronto e si adatta perfettamente alle situazioni presentate.

Bentornato a casa, caro Western.

Bianca Ferrari

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