Quando ci si accosta con un primo sguardo alle immagini di Yokota, il nostro occhio è diretto a capire le sue forme e la loro matericità. Sono colori accesi, metallici, di cui si percepisce il volume, che subito trasmettono una prima sensazione di liquidità: come se il tatto si fosse unito per un attimo alla vista.
La sinestesia, ovvero la contaminazione tra i sensi, è infatti un concetto caro al fotografo giapponese; così come Kandinskij dedicò parte dei suoi lavori su come tradurre la musica in pittura, Daisuke Yokota lavora sul tradurre il rumore sonoro in un disturbo visivo, manipolando la pellicola.
In questa serie “Colour Photographs”, il punto di inizio è quindi una pellicola fotografica di grande formato, la quale viene divisa in strati, poi esposta al calore dell’acqua bollente che corrode e cristallizza l’emulsione della pellicola stessa, dando vita a nuove forme.
La pellicola originale viene fossilizzata sotto strati di manipolazioni successive allo scatto, caricando il processo di un’aura più sintomatica dell’opera finale di quanto lo sarà poi l’immagine originale. É la materia a diventare soggetto; è la chimica della carta fotosensibile, sottoposta a vari esperimenti, la protagonista di queste visioni liquide.
I lavori di Yokota sono inoltre ispirati dalla musica elettronica di Aphex Twin (di cui parlavamo già nel 2016), che condivide col fotografo lo strumento della ripetizione, dell’eco e del riverbero come elementi di distorsione del tempo.
Come dare quindi al suono un’impronta visiva? Daisuke Yokota ha l’idea di rendere il rumore sonoro (in musica considerato come un disturbo del segnale acustico) un rumore visivo o grana (definito come disturbo digitale in fotografia), e la caratteristica ripetitiva del ritmo diventa qui ripetizione ossessiva di manipolazioni che vanno a costituire i vari strati dell’immagine finale.
Secondo l’artista “le fotografie sono essenzialmente tracce di processi invisibili e inudibili”: di conseguenza, questo processo di manipolazione della carta fotografica consente di dare un vissuto, di ritrarre la memoria della pellicola sulla sua materia stessa.
La visione fornita rappresenta l’antitesi al concetto di pre-visualizzazione dell’immagine fotografica di Ansel Adams, secondo cui già in fase di scatto bisognava pre-visualizzare nella mente l’immagine finale stampata, in modo tale da operare per raggiungere un risultato ben preciso e premeditato. Due approcci totalmente diversi al linguaggio visivo, ma che definiscono simultaneamente due modi ben delineati di usare il mezzo fotografico per raccontare.
Nel 2017, Daisuke Yokota presenta al Foam di Amsterdam un’installazione su cui riflette l’incapacità di memorizzare l’enorme quantità di immagini a cui siamo sottoposti quotidianamente. L’artista rende tattile questo concetto allestendo una sala, in cui lo spettatore si trova totalmente sommerso da immagini bruciate, prive di senso, che non potrà ricordare. Manipolazione e distruzione come spettri della memoria e del tempo, inoltre, sono elementi ricorrenti nella visione di Yokota.
Una sua frase riassume bene il suo approccio all’arte:
I don’t make work to express my feelings, it’s more like burning them. (Non produco opere per esprimere i miei sentimenti, è più come se li bruciassi)
Maria Brogna