Nicolas Winding Refn è uno dei nomi più discussi e rilevanti nell’ambito del cinema contemporaneo. Con le sue opere, ha saputo coniare una poetica estremamente riconoscibile in bilico tra il cinema di genere più spudoratamente pop e il cinema d’autore più raffinato. Tra ammiratori e detrattori, Refn è sempre riuscito a far parlare molto di sé sin dalla trilogia di Pusher (1996, 2004, 2005), passando per l’acclamato Drive del 2011 (di cui ho scritto qui), fino al controverso Only God Forgives del 2013.
The Neon Demon è attualmente l’ultimo lungometraggio diretto dal regista danese. Pubblicato nel 2016, il film alla sua uscita ha diviso in maniera netta pubblico e critica tra sostenitori e detrattori. Io, appartenendo al primo gruppo, ho deciso di consigliarlo nel nuovo articolo per la serie “Film della Settimana” di Cabiriams.
Il film narra la storia di Jesse (Elle Fanning), una ragazzina di 16 anni trasferitasi a Los Angeles dal suo paesino in Georgia per perseguire il sogno di diventare modella. Grazie a un servizio fotografico del giovane Dean (Karl Glusman), Jesse riesce a farsi notare da un’importante agenzia di moda e ad avere un contratto per uno shooting professionale. Nel frattempo, la ragazza fa la conoscenza di tre donne: la truccatrice Ruby (Jena Malone), che le farà da mentore, e le due modelle Sarah (Abbey Lee) e Gigi (Bella Heathcote). Le tre, come del resto tutte le persone che vengono in contatto con Jesse, restano profondamente colpite dalla sua bellezza naturale. Per tutto il film, la bellezza di Jesse assume un valore angelico e sovrannaturale che destabilizza il mondo di plastica e luci al neon della Los Angeles decadente, dove tutto è bello, ma niente è vero. Jesse non solo è bella, è pura, è vera, irraggiungibile da qualsiasi artificio che l’industria della bellezza possa operare sul corpo femminile. Ma, come la ragazza-angelo influenza la bolgia infernale di Los Angels non appena vi mette piede, così anche questo bellissimo inferno si insedierà del cuore della ragazza, portandola a rinnegare la sua natura di giovane ingenua e pura, per trasformasi in una donna terribilmente potente e cosciente del suo potere.
Il film è un esempio del miscuglio tra cinema pop e cinema d’autore di cui ho parlato sopra, profondamente debitore delle suggestioni visive di Suspiria di Dario Argento, ma anche del simbolismo mistico ed esoterico di Jodorowski. La critica al mondo dello show business è messa in scena come mai prima d’ora, tentando un’operazione alla Mulholland Drive in cui l’onirismo è sostituito dal misticismo. Certo l’uso dei simboli e l’intreccio risultano molto più ingenui rispetto al capolavoro di David Lynch, ma quello di Refn vuole essere prima di tutto un film glamour. L’estrema estetizzazione di quasi ogni inquadratura funge da riflesso del messaggio del film sul mondo della moda: ciò che stiamo guardando è bellissimo, ipnotico, affascinante, ma nasconde qualcosa di terribile. L’idea di mescolare il glamour con l’horror e con l’esoterismo a tanti può suonare bislacca, eppure il film esercita un fascino misterioso e inspiegabile, come la magia nera e i culti, ma anche come il personaggio di Jesse, inspiegabilmente affascinante e misterioso.
Marco Andreotti