«Ma cosa avevamo da fare di tanto importante, poi?»

«Il lavoro, probabilmente.» «E innamorarsi, quello porta via un sacco di tempo.»

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Forse non tutti sanno che la celebre “mamma” dei Mumin, Tove Jansson, ha prodotto anche un discreto numero di libri per adulti. Scritto all’età di settantacinque anni, Fair Play è un libro corto, ma ricco di emozioni e significati. Con la sua forma aperta e un linguaggio curato e nitido, esso fa in modo che siano le parole e i silenzi a instillare nei lettori delle riflessioni, a trasmettere idee.
In
Fair Play pare quasi non accada nulla, ma, al contrario, le 135 pagine del libro assommano drammaticità  e umorismo, leggerezza e profondità, ma soprattutto saggezza. Fair play ha certamente una forte componente autobiografica: riprende, infatti, la relazione di oltre quarant’anni tra la scrittrice e la sua compagna di vita, l’artista grafica Tuulikki Pietilä. Ma, come si vedrà, si tratta di molto più che di una semplice autobiografia.

Fair Play racconta la storia d’amore tra due donne che, per decenni, “vivono e lavorano fianco a fianco in un equilibrio al tempo stesso lieve e rivoluzionario.” (Smith, 2007) Mari e Jonna sono molto diverse: se la prima è un’illustratrice e scrittrice, riflessiva e pacata, la seconda è una scultrice, dal carattere più irruento e determinato, come se ormai tutti i segreti della vita le fossero stati svelati. Durante l’anno abitano a Helsinki, dove possiedono due atelier ai capi opposti di un grande edificio, ma quando giunge l’estate si trasferiscono insieme in casetta su un’isola della costa finlandese. Mari e Jonna condividono numerose esperienze di vita: trascorrono le serate a guardare film western e i capolavori di Fassbinder, fanno numerosi viaggi, in cui Jonna si dedica appassionatamente a catturare la realtà del mondo attraverso la sua cinepresa Konica. Condividono, pur dimostrandosi sempre in grado di rispettare le esigenze e gli spazi l’una dell’altra, senza mai sfociare nella limitazione della libertà reciproca

Non è chiaro se questo libro possa essere definito romanzo; forse è più coerente identificarlo come una raccolta di storie accomunate da due temi portanti: l’arte e l’amore. Jansson apre il libro con un’emblematica riflessione sul cambio di prospettiva, quello che permette di disfarsi di punti di vista passati e di percepire la realtà in modo diverso, aprendosi così a qualcosa di più promettente. Il romanzo, non per nulla, è accompagnato dalla tematica del processo di revisione e creazione artistica, una metafora che sottende il bisogno di stimolare il rinnovamento della quotidianità. In quest’ottica, Fair Play si potrebbe definire, perciò, un manuale di consigli sul processo artistico e su quello emotivo, perché, anche quando non sembra, l’arte è il punto di partenza per alludere a qualcosa d’altro. Mari e Jonna, nella consapevolezza che la vita talvolta è incontrollabile e che l’amore, come il lavoro, porta a continui scontri e risoluzioni, ci insegnano che è possibile offrire stabilità al proprio rapporto. Stabilità che si fonda anche sull’attentamente rimarcato “lasciare spazio”, un dono che fa all’altro solo chi ama con fiducia e sincerità e desidera che ci si possa esprimere anche e soprattutto individualmente.

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Il “fair play” a cui si riferisce il titolo altro non è che il rapporto libero tra due individui che, pur nelle avversità che la convivenza e la vita stessa comportano, sono capaci di preservare con impegno e amore il loro legame, riuscendo a cogliere il significato profondo racchiuso nel gesto o nella parola più banale. Tove Jansson porta all’attenzione la portata reale e la libertà rivoluzionaria del rapporto d’amore, ciò che segue la passione sfrenata, ciò che è quotidianità, ciò che raramente compare nella letteratura.

Mari non la stava molto a sentire, un pensiero azzardato stava prendendo forma nella sua mente: la possibilità di una perfetta solitudine in pace e aspettativa, quasi una specie di gioco che si può permettere quando si è nello stato di grazia dell’amore.

Micol Zanaga

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