“Mondo cane!” è la perfetta esclamazione per descrivere la reazione dello spettatore di fronte ai cosiddetti shockumentary o documentari-shock degli anni ‘60 che, secondo la logica del cinema d’exploitation, rompono i tabù mostrando senza censura avvenimenti fuori dall’ordinario, curiose tradizioni culturali, usi e costumi esotici rispetto alle convenzioni occidentali.
Quest’esclamazione dà il titolo, nel 1962, al primo film del filone italiano dei documentari-shock: la regia è un lavoro di squadra dell’esploratore Franco Prosperi e del regista Paolo Cavara, entrambi specializzati in spedizioni subacquee, insieme al giornalista Gualtiero Jacopetti, a cui è ispirato il personaggio di Mastroianni ne La dolce vita. Jacopetti è anche montatore e autore del commento narrato di Stefano Sibaldi, la cui composta ironia accompagna lo spettatore in un viaggio antropologico contaminato di sensazionalismo giornalistico.

La grottesca creatura del trio Jacopetti-Cavara-Prosperi fu un successo al botteghino, vinse un David di Donatello per la produzione, fu candidato alla Palma d’Oro a Cannes ed ebbe anche una nomination agli Oscar per il brano originale “More” di Riz Ortolani e Nino Oliviero. Ma soprattutto ispirò svariati sequel, dando il via al sottogenere dei mondo crudeli, intrecciati con la storia dei cannibal movie, e che influenzarono successivamente anche i mockumentary.

A sinistra una celebrazione dei soldati Gurkha vestiti con abiti femminili in Nepal, a destra un rituale dei Sacconi Rossi della Basilica di San Bartolomeo all’Isola a Roma.

È un’imprecisione reputare Mondo cane il capostipite dei mondo movies, inaugurati invece dal filone dei mondo sexy con Europa di notte (1959) di Alessandro Blasetti e Mondo di notte (1960) di Luigi Vanzi, entrambi con la voce narrante di Jacopetti. Questa sottocategoria, come si evince dai coloriti titoli (Sexy al neon, Universo proibito, Sexy ad alta tensione, Nudo, crudo e…, Questo mondo proibito, Sexy proibitissimo), indulge sull’erotismo e sulla trasgressione, guarda caso proprio nel periodo che segue la chiusura delle case di tolleranza con la Legge Merlin (1958). I mondo sexy vanno ad esplorare i locali notturni di tutto il mondo con lo stesso sguardo voyeuristico ed esotista che caratterizza il filone parallelo dei mondo crudeli. Nel corso degli anni ’60 e ’70 entrambe le sottocategorie si fanno sempre meno sottintese e sempre più perverse e scioccanti: si infrangono tutti i tabù mostrando pratiche sessuali impressionanti, rituali escatologici, tradizioni culturali crudeli e sadiche al limite dello snuff movie.

Mondo cane è sicuramente una pietra miliare nel cinema documentario, tuttavia le immagini mostrate vengono spacciate per testimonianze che si attengono “scrupolosamente alla realtà”, omettendo l’esistenza di ricostruzioni in favore di camera o di manipolazioni di gusto sensazionalistico volte a provocare nello spettatore emozioni forti. Anche la riflessione su come la sola presenza della cinepresa sul campo possa condizionare gli avvenimenti filmati non è esplicitata come avviene invece nel cinema verité o cinema diretto.

A sinistra la statua in onore di Rodolfo Valentino a Castellaneta, a destra un uomo della tribù Chimbu della Nuova Guinea.

L’obiettivo principale è dimostrare, attirando la morbosa curiosità dello spettatore e promettendo visioni di realtà lontane, che viviamo in un mondo crudele, ipocrita e contraddittorio. In questo collage di immagini talvolta persino di grande efficacia poetica nel loro essere così grottesche, viene tracciato un percorso lungo i grandi temi dell’umanità – il culto del corpo, il rapporto tra uomo e animale, quello con la religione, e soprattutto  con la morte – messo in serie con uno stile peculiare in cui le sequenze, seppur slegate a livello spazio-temporale toccando tutti i continenti, sembrano fluire da sé. Il collante che lega le immagini appartiene alla dimensione aurale: l’arrangiamento musicale di Riz Ortolani insieme alla voce narrante di Sibaldi riesce a creare dei parallelismi tra luoghi e culture molto distanti, oltre che a compiere delle scorrevoli transizioni da una tematica all’altra.

L’uso di eufemismi e perifrasi crea una sottile ironia velata di cinismo, rafforzata dall’inconsueto uso della messa a fuoco e dello zoom, molto evidente, ad esempio, già nella parte iniziale ambientata a Castellaneta, durante una celebrazione quasi religiosa in onore di Rodolfo Valentino, unico cittadino illustre di un paesino pugliese che non offre altro che il lavoro nei campi. Il tema musicale diventa bruscamente un tango mentre vengono proposte varie brutte copie del divo dalle mancate velleità attoriali. Una volta che la macchina da presa si teletrasporta a New York, il tango si trasforma in un’improvvisazione jazz, mantenendo però la stessa melodia: l’erede di Valentino è stato ormai trovato nell’attore Rossano Brazzi, assaltato da un branco di fangirl, accostate a un gruppo di donne alle prese con l’inseguimento di un uomo su un’isola dell’arcipelago delle Trobriand, uno dei pochi luoghi dove si pratica la poliandria.

Oltre ad evidenziare corrispondenze tra culture differenti, il film fa emergere anche l’ipocrisia umana. Se in un cimitero per animali domestici in California i cani vengono pianti come fossero parenti prossimi, a Taipei vengono mangiati dai ghiotti buongustai. E lo stesso Occidente, in lutto per gli amici a quattro zampe, non si fa scrupoli invece a torturare le oche per produrre foie gras in Francia. Nel frattempo in Giappone viene invece fatto credere che gli allevamenti di vitelli siano delle spa bovine in cui la carne viene intenerita da squadre di massaggiatori prima di giungere al macello per produrre il prelibato manzo di Kobe.

A sinistra un allestimento funerario nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola (Roma), a destra un cimitero marino dell’arcipelago malese.

La macrosequenza sul tema della morte è forse quella che meglio esemplifica il potere del montaggio, passando da un tono molto greve e funerario, mentre la cinepresa subacquea scandaglia un cimitero marino dell’arcipelago malese, a un tono più scanzonato, mentre si riprendono le “silly walk” mattutine di un gruppo di ubriaconi tedeschi dopo una notte  di ubriacatura. Se i cimiteri, come quello malese o le cripte romane in cui vengono collezionate le ossa hanno funzione di memento mori, la birra permette invece l’evasione da “ogni ricordo o presentimento di morte”. O forse, al contrario, i postumi della sbronza ricordano all’improvviso la caducità di un corpo che può diventare cadavere da un momento all’altro ed essere abbandonato alla putrefazione, dimenticato da tutti a meno che non ci sia una macchina da presa a testimoniarne l’avvenuta esistenza.

Giulia Silano

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