A sedici anni di distanza dall’ultimo film nato dal fruttuoso sodalizio cinematografico, Aldo, Giovanni e Giacomo tornano ad affidare a Massimo Venier la regia di un loro lungometraggio.
E non pare essere un caso se proprio al malinconico Tu la conosci Claudia (2004) risaliva l’ultima grande incursione del trio sul grande schermo, prima di una serie di opere non del tutto convincenti o scarsamente riuscite. Era veramente necessario il tocco calibrato del regista varesotto per riportare i tre ai fasti delle opere di inizio millennio? Impossibile elaborare una risposta univoca, ma ciò che pare lampante e che possiamo affermare con certezza riguardo a Odio l’estate è che si tratta della loro più felice apparizione in sala da diversi anni.

Riprendendo il sapore di un certo cinema italiano del passato che riportava soleggiate avventure estive in una finestra distributiva invernale (quella più redditizia nel nostro Paese), questo racconto viene immediatamente imbevuto di una delicata leggerezza, la quale imposta il confortevole tono che accompagnerà l’intero arco narrativo e che non sarà trasgredito nemmeno dalle svolte più inattese.
Come da canone nella filmografia del trio, i personaggi interpretati si presentano come simulacri degli attori stessi e, come già sperimentato in opere passate, viene inscenata la collisione tra caratteri opposti e complementari, conflittuali ma accomunati dalle medesime debolezze. L’arena in questo caso è una non precisata isola del mediterraneo, la cornice una villetta che i tre protagonisti e le rispettive famiglie si trovano a dover condividere in seguito ad errore burocratico. Questo è il fulcro da cui ci si aspetterebbe l’esplosione di paradossi e contraddizioni irrisolvibili, terreno fertile alla fioritura della comicità. Ed è proprio in questo frangente che Odio l’estate coglie alla sprovvista l’affezionato spettatore, dichiarando di non voler puntare sull’esasperazione comica – da tempo infruttuosa – per adagiarsi sul registro di una commedia in cui il riso è centellinato, in virtù di un linguaggio brillante che lascia spazio a venature agrodolci.

Sorretto da questo registro sofisticato ed al contempo fruibile (oltre che da un cast d’insieme notevole), il film si palesa come un denso racconto di formazione; l’evoluzione di tre personaggi che riescono a superare le infantili paure che limitano il loro essere al mondo. Un percorso di crescita che passa efficacemente attraverso una riconciliazione con i rispettivi figli, figure cruciali che costituiscono sia l’ostacolo che lo strumento per valicare le proprie idiosincrasie. Sullo scheletro costituito da una trama solida, Aldo, Giovanni e Giacomo ed il ritrovato Venier tessono un nostalgico compendio dei tòpoi più noti della loro filmografia: dalla prossemica inconfondibile alle metafore improbabili, dai viaggi on the road che seppur limitati riescono a generare repentine impennate umoristiche fino al “remake” di una delle scene culto del loro cinema, durante una partita di calcio sulla spiaggia.

Sviluppandosi su questi due sentieri accuratamente alternati, Odio l’estate trova un raffinato equilibrio che gli permette di essere percepito come l’opera più matura di questo trio di fuoriclasse della comicità italiana; un salto sicuro oltre il terreno confortevole della reiterazione delle gag, in virtù di uno spettacolo meno frizzante, ma ugualmente godibile e decisamente più stratificato. E se l’alone tragico che ammanta il finale porta all’emergere di un vago sentore testamentario, questo lieto ritorno al buio della sala non può che sottolineare quanto l’asfittico panorama della commedia contemporanea possa ancora trarre giovamento dall’attività di questi suoi irrinunciabili mattatori.

Andrea Pedrazzi

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