Non c’è tempo.

Non c’è luogo.

Non ci sono nomi.

Non c’è nemmeno più la vista.

Una strana epidemia ha colpito questa città imprecisata, le persone stanno diventando cieche, non una normale cecità, ma un mal bianco, un’aura lattiginosa che riempie gli occhi e copre la vista.

 ‘Adesso, però, si ritrovava immerso in un biancore talmente luminoso, talmente totale da divorare, più che assorbire, non solo i colori, ma le stesse cose e gli esseri, rendendoli in questo modo doppiamente invisibili.’

Il romanzo è la cronaca dell’epidemia vissuta dai primi contagiati, un gruppo di persone che si trovavano, ironia della sorte, nella sala d’attesa di un oculista.

Così, una ragazza con gli occhiali scuri, un vecchio con la benda nera, un ragazzino strabico e l’oculista stesso si trovano a condividere la stessa malattia e la medesima sorte.

A queste vicende prende parte anche la moglie del medico, nonostante lei ci veda benissimo: lo accompagnerà in quarantena e diventerà gli occhi di tutti.

Il governo, per evitare il diffondersi di questa epidemia, che potrebbe avere drammatiche conseguenze se colpisse tutta la popolazione, rinchiude i ciechi e chi è venuto a contatto con loro in un vecchio manicomio, garantendo cibo per tutti.

Non basta però un tetto sopra alla testa e delle vivande per garantire la pace e la tranquillità, infatti il crescente numero di ciechi, la convivenza forzata, l’impossibilità di uscire creano dinamiche ed eventi spiacevoli.

Arrivano ad instaurarsi meccanismi di potere e atti di bestialità.

L’organizzazione non è possibile per una mancata responsabilità collettiva.

Quando la sopravvivenza è minacciata, gli uomini tornano ad essere bestie.

‘E quand’è che è necessario ammazzare, si domandò avviandosi verso l’atrio, e si rispose da sola, Quando ormai è morto ciò che è ancora vivo.’

Lo stile di scrittura dell’autore, periodi molto lunghi, virgole che sostituiscono punti, dialoghi senza virgolette, domande senza punti di domanda, rende difficile seguire con facilità il racconto, crea un senso di straniamento, una confusione grazie alla quale il lettore empatizza maggiormente con la condizione di cecità dei protagonisti del libro.

Saramago, premio Nobel per la letteratura, con questo libro del 1995 riflette sulla razionalità e sulla ragione, caratteristiche fondamentali per distinguere l’essere umano dall’animale, che vengono meno nel momento in cui si teme la morte e la si vede sempre più vicina: l’uomo quindi ritorna animale e si risveglia il suo istinto primordiale.

‘Ciechi negli occhi e ciechi nei sentimenti, perchè i sentimenti con i quali abbiamo vissuto e che ci hanno fatto vivere com’eravamo, sono nati perchè avevamo gli occhi, senza di essi i sentimenti si trasformeranno, non sappiamo come, non sappiamo in quali.’

Nonostante il romanzo decreti che millenni di evoluzione biologica, sociale e culturale siano stati spazzati via dalla lotta per la sopravvivenza, rimangono sempre la speranza, l’umanità e la gentilezza incarnate nella figura delle moglie del medico, l’unica che grazie alla vista rimane ancorata alla sua umanità.

 ‘Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.’

Claudia Morbiato

Pubblicità