Le ombre si vanno allungando sulla saga, che dopo l’interludio eccellente di Alfonso Cuarón vede ora subentrare il navigato Mike Newell (Quattro matrimoni e un funerale, Donnie Brasco), alla regia di quello che ad oggi rimane l’episodio più cupo. Abbiamo lasciato Harry sfrecciare sulla Firebolt al termine di un anno in cui non si è dovuto misurare direttamente con Voldemort come accaduto nei primi due capitoli, ma durante il quale ha scoperto qualcosa di nuovo sui suoi genitori e su chi prima di lui si è trovato a combattere il Signore Oscuro. Il nostro protagonista non è più un bambino: nell’anno precedente ha attraversato i tumulti dell’adolescenza e viene qui chiamato a fronteggiare delle sfide che lo traghetteranno definitivamente verso l’età adulta. Il che coincide con l’affrontare il ritorno del suo maggiore rivale, che dopo svariati tentativi fallimentari riesce in questo film a riappropriarsi di una forma fisica. Ma andiamo con ordine.
A riprova che ormai, così come Harry, anche lo spettatore ha acquisito una certa affinità con il mondo magico, Newell si concede la libertà di tralasciare le parti della storia ambientate a Privet Drive, per calarci direttamente nella festosa atmosfera della Coppa del Mondo di Quidditch. La leggerezza dell’evento viene ben presto guastata, rivelandosi come il primo segnale dell’imminente ritorno di Voi-sapete-chi. L’attacco dei Mangiamorte e la comparsa del Marchio Nero sono le prove di quanto affermato in precedenza riguardo al tono: i pericoli non sono più circoscritti tra le mura di Hogwarts (luogo dichiaratamente sicuro, ma in cui i protagonisti hanno rischiato più volte l’incolumità), ma invade anche la realtà esterna; dimostrazione del fatto che nessun luogo può ora dirsi sicuro.
L’innesco della tensione iniziale subisce una temporanea sospensione con il ritorno alla scuola, che si prepara ad ospitare “un evento leggendario: Il torneo Tremaghi”. Il fermento che accompagna l’arrivo delle delegazioni di Durmstrang e Beauxbaton, ovvero le altre due scuole partecipanti al Torneo (che per la prima volta ampliano il mondo magico al di fuori dei confini della Gran Bretagna), porta un’ondata di leggerezza adolescenziale e ormoni in visibilio come mai prima. Il timore lasciato dall’attacco dei seguaci di Voldemort diventa presto un lontano ricordo, ma questo stato di euforia è destinato a durare ben poco. Il pericolo torna a palesarsi nel momento in cui il Calice di Fuoco, dalle cui fiamme vengono sputati i nomi dei tre maghi (maggiorenni) che dovranno affrontare le temibili sfide per la vittoria della prestigiosa Coppa, rivela di aver selezionato un quarto contendente: il quattordicenne Harry Potter. Un fatto senza precedenti, una grave manomissione il cui unico fine è esporre il giovane protagonista a una situazione di estremo rischio. “Le persone muoiono in questo Torneo”, sono le parole con cui Sirius Black mette in guardia l’amato figlioccio, che non può però sottrarsi al verdetto del Calice. Ciò che ne consegue non è solamente la grande difficoltà nel doversi preparare a delle sfide fuori dalla sua portata e potenzialmente mortali, ma anche una dilagante impopolarità scaturita dall’invidia dei coetanei.
Sentimento accentuato dall’ammirazione che gli studenti di Hogwarts nutrono nei confronti di Cedric Diggory (esordio cinematografico di Robert Pattinson), il quale, secondo il regolamento della competizione, avrebbe dovuto essere l’unico rappresentante della scuola inglese. Non potendo contare sul consueto appoggio dei fidati Ron e Hermione (travolti dal tumulto ormonale di cui sopra), Harry si trova dunque in una condizione di isolamento. La diffidenza dei compagni, la lontananza degli amici più cari, uniti al non trascurabile rifiuto da parte del suo primo interesse sentimentale (Cho Chang, che come tutti pare preferire l’aitante Cedric) lo costringono ad una condizione inedita: dover affrontare avversità del Mondo magico contando solo su sé stesso.
Un’ulteriore prova di maturità nella quale beneficia però del non troppo celato supporto dell’eccentrico Alastor Moody (un Brendan Gleeson particolarmente in forma), ennesimo nuovo insegnante di Difesa contro le arti oscure. Personaggio che nasconde un tragico segreto e che avrà un ruolo fondamentale nella preparazione del tenebroso atto finale, in cui Harry giunge allo scontro con Voldemort, tornato una volta per tutte nella sua forma carnale. L’attore chiamato a vestire i pesanti e attesissimi panni di quello che, senza eccesso di zelo, possiamo definire il villain più iconico degli anni Duemila è il gallese Ralph Fiennes (Schindler’s List, Strange Days, Il paziente inglese). Per quanto la scelta di casting possa essere intrigante, rivela alcuni limiti nell’eccessiva enfasi e teatralità che l’attore conferisce a un personaggio la cui principale caratteristica dovrebbe essere la spietata freddezza (limite che verrà accentuato nei film successivi sotto la direzione di David Yates).
Ciononostante Fiennes porta a casa il risultato e la figura del famigerato Mago Oscuro risulta sufficientemente minacciosa, contribuendo, assieme alla scenografia di Stuart Craig, al senso di paura che ammanta lo scontro finale. Un passaggio cruciale, questo, in cui Harry comprende di avere la forza per affrontare il suo acerrimo rivale, ma soprattutto acquisisce la consapevolezza che non sarà mai solo in questa lotta, perché tutti coloro che si sono sacrificati per combattere Voldemort saranno sempre al suo fianco ed in grado di sostenerlo. Harry si prepara quindi all’inevitabile scontro che costituirà il fulcro dei passaggi successivi della sua storia, cosciente delle responsabilità in arrivo e consapevole di dover attuare la difficile scelta tra “ciò che è facile e ciò che è giusto”.
Questo si rivela il punto d’approdo del film di Mike Newell, il quale era chiamato non solamente a risollevare le sorti economiche di una saga che, pur rimanendo su livelli invidiabili, aveva subito un brusco calo negli incassi, ma anche a dover attuare la complessa trasposizione di un romanzo decisamente più corposo rispetto ai precedenti. Fronti su cui il regista britannico ha riportato dei notevoli successi, ottenendo un incasso globale di 897 milioni di dollari (il più elevato dopo La pietra filosofale) e realizzando un film che, pur omettendo alcuni passaggi oltremodo avvincenti presenti nella versione letteraria, riesce a restituire l’atmosfera tesa e opprimente dell’opera matrice, risultando a posteriori l’ultimo adattamento convincente dei lavori di J.K. Rowling.
Menzione d’onore/non ha trovato posto in questo articolo: la lingua di Barty Crouch Jr., alias David Tennant.
“Salute padre…”
Andrea Pedrazzi
Federico Benuzzi