L’airone esce nel 1968,  è quindi un romanzo successivo al grande successo editoriale che Giorgio Bassani ottenne con la pubblicazione, nel 1962, del Giardino dei Finzi-Contini; tuttavia, scelgo di parlare di un’opera come L’airone poiché credo che in nessun altro romanzo dell’autore vi sia contenuta una bellezza descrittiva e intimità di certi passi.

«[…] Come erano tranquilli e beati, gli altri, tutti gli altri!…Come erano bravi a godersi la vita! La sua pasta si vede era diversa, inguaribilmente diversa, da quella della gente normale che, una volta mangiato e bevuto, non bada che a digerire. Accanirsi a mangiare e a bere, infatti, a cosa gli sarebbe servito, a lui?»

Il romanzo vede come protagonista Edgardo Limentani, avvocato e proprietario terriero che si sveglia prestissimo in una fredda domenica invernale del 1947 per rispondere a un’abitudine da tempo trascurata: la caccia in botte nelle valli del Po’.

Bassani narra l’arco di una sola giornata, con molta probabilità l’ultima della vita del protagonista che, dopo una gita fuori porta nel tentativo di concludere una battuta di caccia, deciderà forse di togliersi la vita.

Tutto inizia dalla prospettiva ristretta della camera di Edgardo, più precisamente nel suo tentativo di ridestarsi al mondo a partire da quella che appare essere una contingenza esistenziale prima ancora che fisiologica: il sonno. 

A colpire il lettore è anzitutto la particolare modalità narrativa di Bassani, che ricorda un processo simile alla tecnica cinematografica, una vera e propria narrazione in movimento che fa pensare ad una sorta di moviola che fa vedere da vicino i dettagli.

«Quel viso era il suo; e tuttavia lui stava lì, a fissarlo, come se fosse di un altro, come se neanche il proprio viso gli appartenesse. Minuzioso e diffidente ne controllava tutti i particolari: la fronte calva, convessa; le tre rughe orizzontali e parallele che la solcavano quasi da tempia a tempia; gli occhi azzurri, slavati; le sopracciglia rade, troppo arcuate, tali da conferire alla fisionomia nel suo insieme un’espressione perennemente incerta e perplessa; […]».

Soltanto al quarto capitolo, Edgardo riesce finalmente a varcare la soglia di casa e ad addentrarsi nel mondo esterno, immerso nella nebbia ferrarese: inizia qui la narrazione di una sorta di viaggio nell’altrove.

Quello di Edgardo è il ritratto di un inconcludente, nessuna delle cose che egli farà in questa giornata avrà per lui un vero significato né risponderà ad un reale bisogno: dal lento e tormentato risveglio mattutino, alla difficoltosa partenza da casa, dalla prima sosta fino all’arrivo a Volano, dove arriverà in netto ritardo rispetto al previsto. Quasi non avesse una reale convinzione in ciò che sta facendo, se non magari quella di raggiungere luoghi solitari, per allontanarsi da una quotidianità della quale è stanco e per trovare un effimero e temporaneo rifugio.

Ma proprio in questa assurda e alienante giornata, ecco apparire l’unico essere a cui Edgardo si sentirà vicino: l’airone che sta per essere abbattuto e che rappresenta il correlativo oggettivo della situazione umana del protagonista.

«Veniva avanti, adesso, sempre più avanti, mostrandoglisi con straordinaria, quasi insopportabile evidenza. Sulla testina perfettamente liscia inalberava per di dietro qualcosa di esile: una specie di filo, di antenna, chi lo sa. E lui, col cuore che frattanto aveva cominciato a battergli forte contro l’osso dello sterno, stava appunto chiedendosi che cosa diamine potesse essere quello strano affare […]».

L’airone, come Edgardo, appare isolato, goffo, affaticato nell’avanzare, e dunque l’animale rispecchia il protagonista che a sua volta si riconosce nell’uccello e sa quello che sarà il suo destino. L’animale viene umanizzato, il protagonista entra nei suoi pensieri e sembra chiedersi: “Che cosa pensa il condannato a morte prima che la sentenza sta per essere eseguita?”.

L’Airone è il romanzo del dolore definitivo, di un malessere universale e onnicomprensivo che pervade ogni aspetto della realtà: l’individuo, i suoi affetti, le cose, la natura. Sembra non esserci alcun legame tra un’azione e l’altra, non c’è consequenzialità e l’unica vera finalità possibile sembra essere la morte.

Ma il nostro protagonista Edgardo Limentani sarà davvero capace di uccidersi? Riuscirà a spararsi, compiendo il gesto estremo oppure dimostrerà ancora una volta la sua definitiva mancanza di progettualità? 

Ilde Sambrotta

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