Meglio di quanto potrei dirlo io in questo
momento l’hanno detto i miei Fiumi, che è il
vero momento nel quale la mia poesia prende
insieme a me chiara coscienza di sé.

  [G. Ungaretti]

Giuseppe Ungaretti è il poeta alla costante ricerca di identità e la scrittura diventa l’unico luogo in cui egli possa tentare di ricostruire tale identità costantemente messa in pericolo. Ungaretti cerca una poesia che porti con sé le tracce di un’esistenza tangibile, che sia immagine della “vita d’un uomo”; la poesia diventa, infatti, una sorta di spazio sacro che resiste a tutte le violenze e malvagità della realtà. È proprio nella poesia In memoria, dedicata all’amico egiziano Moammed Sceab, morto suicida nella casa in cui vivevano insieme a Parigi, che emerge il tema dell’emigrazione intesa come esperienza di distacco, di identità “fratturata” a causa dell’abbandono del luogo natio.

Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente 
di emiri nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
[…]

Sceab è esule immigrato in un paese straniero, una Parigi dove cerca in tutti i modi di adattarsi, cambiando nome e segnando così l’inizio del processo di abbandono della personalità. Moammed è, come Ungaretti, uno sradicato, alla costante ricerca di un luogo: tutta la vita del poeta è ricerca, ma in un nessuno dei molteplici luoghi che ci racconta riesce a fermarsi definitivamente, non esiste in lui il concetto di casa.

In nessuna
parte
di terra
mi posso accasare
[…]
E me ne stacco sempre
Straniero

Sono alcuni versi della nota poesia Girovago, titolo che rimanda alla condizione esistenziale del poeta che, privo di radici, non riesce a trovare un punto stabile di riferimento in cui possa sentirsi completamente accolto. È esattamente la stessa situazione descritta nella precedente poesia dedicata all’amico, questa volta però rivolta a sé stesso. Il poeta è un girovago perché ovunque si sposti non raggiunge la serenità; da ogni luogo si allontana come uno straniero e in nessuna parte riesce davvero ad “accasarsi”.

In una situazione del genere sembrerebbero perdersi tutte le speranze di una raggiunta forma di felicità per il poeta. Tuttavia, se prendiamo una poesia come I Fiumi, è proprio qui che si ha consapevolezza di una possibile identità derivata dal recupero del proprio passato: «Stamani mi sono disteso / in un’urna d’acqua / e come una reliquia / ho riposato. / L’Isonzo scorrendo / mi levigava / come un suo sasso». Immergersi nella corrente del fiume Isonzo equivale a ricordare tutti gli altri fiumi che hanno segnato l’esperienza ungarettiana, ricomponendone il tessuto lacerato. Il Serchio, il Nilo, la Senna e l’Isonzo rappresentano i momenti fondamentali della sua vita e consentono un recupero memoriale del proprio passato, che permette al poeta una riscoperta della propria identità. 

Il fiume Serchio è legato alle vicende dei suoi avi, il Nilo rievoca la stagione avventurosa dell’infanzia e della prima giovinezza trascorse in Africa, la Senna invece richiama gli anni parigini della maturazione e formazione intellettuale:

Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una corolla 
di tenebre

Ungaretti viene spesso definito il poeta della guerra; qui sono i fiumi, dove si ristora e purifica l’uomo, ad essere i veri protagonisti della poesia, in quanto solo immergendosi nell’acqua del fiume l’uomo torna ad essere bambino. Questo gesto apparentemente così banale lo riporta al suo passato biografico, ed è fondamentale poiché la terra di origine diventa una terra promessa dove risiede l’identità perduta.

Ilde Sambrotta

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