Costantinopoli, 1204, i crociati veneziani saccheggiano la capitale dell’impero Bizantino, dando il via in tal modo al lento declino dell’erede di Roma.
Tra le numerose azioni deplorevoli compiute dai crociati veneziani vi fu certo la spoliazione di numerose opere d’arte e tesori contenuti all’interno della città, e tra queste il famoso gruppo scultoreo dei cosiddetti “Cavalli di San Marco”.
Il gruppo si compone di quattro statue di cavalli bronzei che, insieme alla quadriga, si trovavano nel grande ippodromo di Costantinopoli, probabilmente sopra i carceres (i moderni box di partenza per le gare). Poco dopo la fine della crociata, Enrico Dandolo, doge di Venezia, inviò i cavalli nella Serenissima, dove furono installati sulla terrazza della facciata della Basilica di San Marco nel 1254. La collocazione strategica del gruppo scultoreo conferisce all’opera un chiaro significato politico e religioso, simbolo inequivocabile dell’allora formidabile potenza della Serenissima. La quadriga dominava l’ippodromo che non era solo sede dei giochi circensi o delle cerimonie ufficiali, ma anche il vero cuore civile e politico della città e dell’impero. Accanto vi era, intimamente collegato, il palazzo imperiale e poco distante la cattedrale di Santa Sofia; in pratica, dal punto di vista architettonico-urbanistico, il potere politico, esecutivo e religioso trovavano qui un’espressione unitaria. In questo contesto simbolico, i quattro cavalli sulla torre dell’ippodromo in posizione centrale e visibili da tutti assumevano l’evidente significato di cavalli del sole-imperatore, per questo dorati, e quindi immagine del potere imperiale che tutto unifica e controlla. Al vecchio doge Dandolo non sfuggì di certo il valore emblematico dei Cavalli dell’Ippodromo e, conscio della nuova dimensione di potenza coloniale lagunare, se ne appropriò per farne una “bandiera “di Venezia.
Dubbie sono le origini di questi nobili destrieri. Secondo alcuni studiosi risalirebbero all’epoca romana (dalla metà del II secolo al III secolo d.C.), secondo altri a quella ellenistica (non prima del II secolo a.C., in base alla datazione al radiocarbonio); fuori dal coro alcuni autori moderni propenderebbero per una collocazione temporale ben più alta, al IV secolo a.C., con attribuzione allo scultore greco Lisippo. Tuttavia, un’analisi chimico-fisica dell’opera ha suggerito che la lega bronzea fu realizzata con l’impiego di un’altissima percentuale di rame, almeno il 96,67%. La grande purezza del rame fu scelta per dare una più soddisfacente doratura col mercurio. Questo metodo produttivo suggerisce che la realizzazione dell’opera sia avvenuta in epoca romana, piuttosto che in quella ellenistica.
Le dimensioni dei quattro destrieri sono maestose e vanno dai circa 238 cm di altezza ai 252 cm circa di lunghezza, con un peso che oscilla tra gli 8,5 e i 9 quintali ciascuno. La tecnica di realizzazione è quella della cera persa. L’artista, dopo aver creato un bozzetto in argilla, passava al modello in scala 1:1 vero e proprio. Tenendo conto che le dimensioni finali sarebbero state maggiori rispetto al modello in argilla, dopo aver terminato l’anima lo scultore smembrava la scultura in vari pezzi (che in seguito sarebbero stati assemblati) e ricopriva le varie parti con uno spesso strato di cera. A propria volta queste erano chiuse in un cappotto generalmente in gesso. Veniva di seguivo versata la lega metallica all’interno di un foro nel cappotto di gesso, sciogliendo in questo modo la cera (che fuoriusciva da appositi scoli) e lasciando così spazio al nuovo strato di bronzo. Rotto il cappotto e raschiati i rimasugli di argilla all’interno, i vari pezzi venivano assemblati e saldati tra loro.
Nel 1797, Napoleone Bonaparte durante l’occupazione napoleonica rimosse i cavalli e li portò a Parigi come oggetto delle spoliazioni francesi della Repubblica di Venezia, dove li utilizzò per disegnare la sua quadriga per l’arco di Trionfo del Carrousel. I cavalli tornarono a Venezia solo nel 1815.
Tranne che in periodi di conflitti bellici, quando furono trasferiti in luoghi sicuri per sottrarli a eventuali danni da bombardamenti, i cavalli rimasero sulla terrazza della basilica fino agli anni ’80 del Novecento, quando si decise di porli nel Museo della basilica per proteggerli dai danni degli agenti atmosferici e dello smog, sostituendoli con copie identiche.
Splendidi destrieri dorati, un tempo guardiani del potere imperiale, sopra San Marco proteggono la bella laguna di Venezia.
Tommaso Amato