Per farla finita con la famiglia è il provocatorio titolo del saggio di Angela Balzano, edito da Meltemi, che si inserisce nella collana Culture Radicali.

Questo titolo, estremamente efficace e d’impatto, è seguito da un sottotitolo che recita così: Dall’aborto alle parentele postumane. L’intento di Angela Balzano, infatti, è quello di invitare a ripensare il funzionamento dell’ordinamento della famiglia nucleare così come la conosciamo oggi, e di superare il suo assetto etero-patriarcale per raggiungere l’obiettivo di creare parentele altre, non basate su legami biologici, ma che includano anche il non-umano, l’alterità. Se da un lato l’autrice demolisce i principi su cui si basa la formazione della fatidica “famiglia tradizionale”, nata in conseguenza di e dopo la creazione degli Stai-nazione, condannando con essa il binomio biologia-capitalismo, dall’altro propone una serie di alternative e soluzioni per la rigenerazione delle specie e la rinascita del pianeta.

Il saggio di Balzano è ricchissimo di argomenti che si intrecciano tra loro e che potremmo suddividere in due macro-aree: la prima si concentra principalmente sull’aborto in Italia, contestualizzandolo nel suo contesto storico, per poi affrontare le problematicità della legge 194 e la critica ai dispositivi biopolitici che tentano di controllare gli apparati riproduttivi delle donne. Nella seconda, invece, l’autrice riafferma l’importanza dell’autodeterminazione dei corpi per la fine del biocapitale e l’importanza di <<parentele postumane per la rigenerazione del pianeta>>.

In questa cornice, si inserisce lo slogan Gambe chiuse, porti aperti!, che trova i suoi antecedenti nelle parole di Paul Preciado (al tempo ancora Beatriz) che ne Lo sciopero degli uteri scriveva <<chiudo le gambe al cattonazionalsocialismo>>, e in quelle di Donna Haraway in Staying with the Trouble che recita <<Make kin, not babies>>. La preoccupazione delle eco-trans-cyborg-femministe deriva dalla produzione di un certo tipo di popolazione. Nel primo capitolo, Balzano evidenzia come il fronte neo-fondamentalista (composto da cattofascisti e neoliberisti) stia occupando gli spazi bio-medici in maniera sempre più ampia, interdicendo la realizzazione dei desideri sessuali e riproduttivi delle donne. Se da un lato la legge 40, che regolamenta l’accesso alle nuove tecnologie riproduttive e alla fecondazione assistita, esclude le persone non eteronormate, contemporaneamente un numero sempre crescente di coppie, con la caratteristica obbligatoria di essere eterosessuali e monogame, si rivolge alle tecnologie di riproduzione. A norma di legge <<la coppia può scegliere l’embrione con le caratteristiche fenotipiche più simili>>; questo significa, come scrive Angela Balzano, che avremo un esercito di persone bianche e ricche. Non solo, è possibile studiare la vita dei donatori di ovuli e spermatozoi per sperare di mettere al mondo una vita che sia di valore, produttiva, performativa. Investiamo sul capitale umano ancor prima che nasca. L’invito che fa l’autrice dunque, in modo risoluto e deciso ma non inquisitorio, è quello di lottare per cambiare le leggi, per rendere quelle sull’adozione più inclusive e di ragionare su parentele non biologiche che favoriscano l’apertura dei porti e la chiusura dei cosiddetti centri d’accoglienza, che però tali non si dimostrano.

Balzano fa poi un excursus sulla storia dell’aborto, che non è sempre stato visto come un dramma o un reato; ci presenta Trotula, la prima donna medico che esemplifica un’epoca, per mostrarci come c’è stato un tempo nella Storia in cui le donne potevano avere il controllo sui propri corpi, partorivano e abortivano senza la medicalizzazione. Dal Medioevo in poi, l’aborto diventa di interesse della religione cristiana, che lo condanna come omicidio, poiché riconosce nell’embrione una persona. Con l’Illuminismo, il biopotere diventa strategia di governo della popolazione e dal diciannovesimo secolo le politiche demografiche tendono all’incremento della popolazione. Nei codici degli Stati-nazione della prima metà del XX secolo, l’aborto viene considerato reato contro la sicurezza dello Stato, così come è scritto anche nel titolo decimo del codice Rocco, “Dei delitti contro la integrità e la sanità della stirpe”, in vigore fino al 1978, che condannava a cinque anni la donna che abortiva e il medico che l’ aveva aiutata. L’autrice ci fa notare come del primo sesso della coppia non ci sia traccia. L’uomo, il maschio biologico che ha contribuito alla fecondazione dell’ovulo non viene minimamente menzionato, non dovendosi assumere lui il compito e l’obbligo della riproduzione. Da qui, Balzano arriva a discutere della legge 194, scritta ufficialmente per salvaguardare le donne, ma che sembrerebbe più uno strumento nelle mani dei pro-vita. Il titolo stesso, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, risulta problematico. Soffermandosi sull’articolo 9, che riguarda l’obiezione di coscienza, la legge permette al medico di obiettare alla legge stessa e di rifiutare di concedere l’aborto ad una donna senza ripercussioni sulla sua carriera. L’autodeterminazione delle donne, così come quella delle persone non eteronormate, non viene rispettata, mentre non avviene mai il coinvolgimento dei maschi biologici nel processo riproduttivo. Basti pensare, come ci fa riflettere l’autrice, alla contraccezione ormonale maschile. A differenza della pillola che è in commercio dagli anni Sessanta ed è il metodo contraccettivo più diffuso insieme alla spirale, la sperimentazione ormonale maschile inizia nel 1990. Nonostante i risultati molto positivi (su 290 coppie nel 90% dei casi non ci sono state gravidanze indesiderate), questo metodo di contraccezione non è ancora in commercio e il problema risiede proprio nell’assetto culturale dei paesi occidentali; la resistenza al pillolo, come lo chiama Balzano, viene dagli uomini stessi.

La convinzione che questo sistema riproduttivo sia l’unico possibile è ancora troppo diffusa. L’incapacità del sapiens di riconoscere l’alterità che già lo compone gli permette di elevarsi a essere superiore, ostinatissimo nella riproduzione della sua stessa specie, indifferente di fronte ai danni che quest’ultima arreca ad interi ecosistemi e ha permesso l’estinzione di molte forme di vita. Bisognerebbe mettere in discussione l’intero assetto biopolitico partendo dal rifiuto dell’antropocentrismo umanista. Scrive Balzano che <<il mito dell’uomo autopoietico si traduce nell’economia del capitale umano e rende possibile l’articolarsi delle governamentalità biopolitiche occidentali, caratterizzate da un’ossessione su tutte: l’occupazione a mezzo di norme giuridiche e protocolli medici dei nostri corpi. Peccato che queste razionalità di governo si reggano sull’esclusione e lo sfruttamento di troppe attrici umane e non>>; l’homo sapiens si è dotato in autonomia di diritto alla vita e alla libertà, si è inventato una scienza, la biologia, per apparire come l’unico detentore legittimo di quei diritti, anche a costo di uccidere, tanto che per Angela Balzano <<la biologia è un gigantesco caso di mansplaining>>. Dall’altro lato della medaglia, però, la storia ci rende testimoni di come la riproduzione dei sapiens sia stata possibile solo grazie al sacrificio di altr*, che siano essi animali che ci nutrono, persone che ci curano, batteri che ci compongono.

Il mutualismo transpecie a cui auspica Angela Balzano può avvenire perseguendo più strade. Una prima, come scrive l’autrice, potrebbe essere lo smantellamento dell’attuale sistema riproduttivo, che va a vantaggio di una sola parte di mondo che come corollario ha il neocolonialismo.

Come seconda strategia, Balzano ci invita a rigenerare l’alterità, azzerando le emissioni di carbonio, opponendoci alla deforestazione, eliminando i macelli in cui sono costretti gli animali e distruggendone le gabbie.

Nell’era dell’Antropocene, la prima conseguenza della decrescita dei sapiens potrebbe essere la riappropriazione delle nostre stesse vite, che ora invece sono occupate principalmente nel lavoro ri/produttivo. Scrive Balzano: <<Ci indebitiamo per accedere a risorse e mezzi che dovrebbero essere gratuiti perché sono alla base della nostra sopravvivenza e salute e nel frattempo riproduciamo un sistema da cui non traiamo alcun beneficio, ma solo a tratti un effimero senso di soddisfazione legato all’illusione di accedere a frammenti di “benessere”>>.

Infine, ricorrendo ad immagini e ad analisi fantascientifiche femministe, Balzano ci mostra degli scenari tutt’altro che fantascientifici, ma possibili e attuabili. Immaginando legami transgenere che vadano oltre la dicotomia maschio/femmina, e parentele transpecie che coinvolgano piante, animali e altre forme di vita, l’autrice ci invita a perseguire un’etica postumana, <<farla finita con la famiglia, amare l’humus oltre l’umano, oltre i confini di generi e Stati>>.

Matilde Alvino

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