Tra le stelle, ma saldamente attaccato a ciò che appartiene alla Terra: l’astronauta Roy McBride, interpretato da Brad Pitt, in Ad Astra di James Gray compie il suo viaggio verso la redenzione alla ricerca del padre Clifford McBride (Tommy Lee Jones), eroe della Spacecom scomparso in una missione spaziale segreta ai confini della galassia.

Inserendosi all’interno della recente tendenza del cinema contemporaneo verso i film spaziali (o meglio i drammi familiari nello spazio, come il First Man di Chazelle, in concorso lo scorso anno), il film di Gray si concentra quasi esclusivamente sul dolore di un figlio per la perdita del padre e sul tentativo disperato di questo di trovare delle risposte – non tanto sulle forme di vita extra-terresti ma sulle motivazioni di un abbandono e sulla solitudine come scelta.

Quello di Ad Astra è ancora il James Gray che affronta melodrammi da grandi ambientazioni: ma proprio come in Civiltà Perduta (2016) e in minor misura C’era una volta a New York (2013), davanti a storie di grande respiro Gray sembra innamorarsi troppo della ricerca estetica mancando il contatto con i personaggi, che sembrano perdersi nella struttura rigida della trama, compiendo gesti a volte motivati solamente dalle loro affermazioni, ma mai da un volere profondo. Così il tentativo di Gray di rappresentare la solitudine dell’uomo nell’universo affonda in dialoghi che sembrano ripetersi in continuazione, e nemmeno l’eco di Apocalypse Now nel ricalcare la figura di Brando in Tommy Lee Jones o, come ha affermato il regista, le suggestioni filosofiche di 2001: Odissea nello spazio possono salvarlo.

Lontano dall’intimismo drammatico di Little Odessa (1994), con cui vinse proprio il Leone d’argento, il film affida molta della sua carica emotiva alla voce fuori campo del protagonista, che riflette continuamente in un semi-flusso di coscienza, e che al momento della resa dei conti finale manca di reggere il peso di tutte quelle parole. Il montaggio dai tempi dilatati e la colonna sonora di Max Richter, tuttavia, danno un tono uniforme e coerente all’avventura, che ammira pochissimo i paesaggi spaziali per soffermarsi quasi totalmente sui volti umani e sulle strette ambientazioni delle navicelle, simbolo di quell’isolamento emotivo del suo protagonista.

Il film, la cui uscita programmata per maggio 2019 era già stata rimandata a causa dell’acquisto della 21th Century Fox da parte della Disney e dalla volontà di Gray di lavorare ulteriormente sugli effetti speciali, uscirà nelle sale italiane il 26 settembre.

Bianca Ferrari

Pubblicità